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giovedì 24 aprile 2014

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (204)

Giuseppe Leuzzi

A Sant’Arcangelo di Romagna un albanese uccide l’ex fidanzata, il giorno dopo aver ucciso il nuovo fidanzato dell’ex fidanzata. Sant’Arcangelo di Romagna s’era distinto al tempo della grande migrazione interna perché murava le case disabitate, per evitare che famiglie meridionali vi si installassero. La Romagna aveva bisogno di braccia ma non voleva i meridionali. I tempi sono cambiati, o gli albanesi sono meglio, più di fiducia?

La delazione al Nord in epoca fascista Mimmo Franzinelli, “Delatori”, mette tra parentesi: “(Non fu questa un’invenzione del fascismo: nella prima metà dell’Ottocento la incentivò la polizia austriaca che, coadiuvata segretamente da un ampio apparato di cittadini, conseguì nel Lombardo-Veneto risultati notevoli: dal controllo dei complotti mazziniani alla cattura di Oberdan e di tanti altri patrioti o irredentisti traditi dai loro compagni)”.

Il catenaccio nel calcio, invenzione italiana, è deplorevole. Mourinho invece lo può praticare acclamato. Per questo anche super pagato, il più pagato al mondo. Anche all’Inter, con Mourinho non era più catenaccio, benché la squadra fosse italiana: basta il nome.
Le identità nazionali sono trappole.

Quando Mourinho era all’Inter il catenaccio era a volte criticato. Ora che lo fa “al Nord”, a Chelsea, è un delirio, di ammirazione.

Il sarcasmo è sacro al calabrese. Antonio Polimeni, strillone a Roma, cieco, si fece un paio d’anni di confino per aver strillato: “Mussolini ha vinto la battaglia del grano e il pane costa più caro” (la storia è in Franzinelli, “Delatori”, p. 80). Amnistiato dopo due anni nel 1937 per le cattive condizioni idi salute, se ne fece dare altri tre con questa lettera di ringraziamento in braille: “Grato e commosso di vostra bizzarra magnanimità, ringrazio vivamente, sentitamente, l’eccellentissimo ministro per la malvagità con cui mi ha trattato. Peraltro non ho la minima intenzione di negare l’esistenza del mio reato, se pur si possa chiamare reato avere un’idea. Anarchico, idealista, filosofo non significa essere un assassino”.   

Il cieco e povero Polimeni però si confronta onorevolmente, nella pagina a fronte di Franzinelli, con Luigi Barzini. Il famoso giornalista, rinchiuso a Regina Coeli per due giorni sulla base di una denuncia anonima, si profuse in memoriali, appelli e attestati di fede fascista, quanti ne riuscì a scrivere nelle 48 ore. Compreso dichiararsi spia del regime quando era corrispondente a Londra.

Il feudalesimo culturale
Si può vedere il Sud, si vede viaggiandovi, come un albero sfrondato sradicato. Uno di quegli ulivi secolari, per esempio, che giacciono rovesciati, enormi ceppaie ancora vive ma troncate, che si aspetta si asciughino per farne parquet, pipe e altri oggetti di legno duro. In che misura il Sud (non) è vittima della sua modernizzazione sradicata? È il discorso vieto della colonizzazione – lo sradicamento è il principio della colonizzazione – ma non per questo da rifiutare, poiché è lo stato della cosa.
In che misura il Sud non è vittima, per intendersi, dei suoi intellettuali galantuomini tutti loggia e rivoluzione, della demolizione psicologica, della modernità arrivata – nemmeno imposta - come la collana di vetri ai selvaggi. L’inoppugnabile principio rivoluzionario (modernizzante) della tabula rasa lo ha lasciato e lo lascia nudo. Mentre le altre parti del Paese hanno continuato a fare quello che sapevano fare, solo l’hanno fatto meglio, più produttivamente. Hanno evoluto senza negarsi. Hanno costruito mattone su mattone.
Ne sono prova il la negazione o rifiuto (l’odio-di-sé), l’emigrazione, fisica o spirituale, l’adozione indifesa di ogni altro modello culturale – fino alle feste di celibato, o ai matrimoni interminabili in uso negli States. E il rifiuto della storia. Per l’adozione di modelli comportamentali, progettuali, e perfino storiografici sempre esterni, e necessariamente insufficienti - ritardati, inadeguati,  inadatti.
Si prenda il feudalesimo. Non c’è storia del Sud che non ne attribuisce la debolezza al feudalesimo. Per la routine inerte di un’idea della storia pretesa scientifica (marxiana), che avrebbe fatto inorridire il metodo critico (marxiano), ma pazienza. Il problema è che al Sud non c’è altra storia: sinistra e destra, vecchi arnesi “marxiani e vecchi arnesi antimarxiani spiegano congiunti e contriti che il Sud non si muove perché è feudale. Mentre il contrario è vero. Cioè, non è che il Sud se fosse feudale si muoverebbe, ma è che il Sud ha saltato l’esperienza feudale per forme di sfruttamente para-coloniale, il fedecommesso, le guerre tribali (dinastiche), la squalifica del meridionale. E quel poco di feudalesimo che lo faceva vivere l’ha sradicato, o se l’è fatto sradicare, con l’unità.
Pasquale Villari ne ebbe sentore nelle “Lettere meridionali”, 1862, subito a ridosso dell’unità, quando denunciò l’abolizione dei privilegi ecclesiastici, che erano la sola fonte di assistenza sociale e sanitaria per le masse povere, senza alcuna soluzione alternativa.
La tradizione era già forte e sarà inestirpabile, rivoluzionaria e quindi incontestabile, laica seppure non repubblicana, di considerare ogni tradizione ancien régime, e quindi da sradicare, per un individualismo presunto liberatore. Liberare le terre e i pascoli comuni, appropriarsi la manomorta, su cui i poveri vivevano (la storia della manomorta, se si facesse, darebbe molte sorprese), eliminare le confraternite, un anello, per quanto debole, di socialità, eliminare gli usi civici e i terreni comuni. Non è senza ragione che il nuovo, diffuso, e più robusto industrialismo in Italia si abbia nelle regioni in cui meglio, o con più continuità, la comunità rurale si è protetta, l’Emilia-Romagna e le Venezie..
L’economia politica dell’illuminismo (Marx non c’entra), che ancora fa legge nella storiografia, la quale al meglio è solo politica, accomuna agli antichi privilegi signorili il bisogno delle masse di conservare il poco di cui disponevano, condannandolo come un bisogno “irrazionale”, a carattere “reazionario”, un forma di protezione di “vantaggi acquisiti”, fossero pure mezzi di sussistenza – oggi lo condannerebbe come populismo
Il feudalesimo è stato nell’illuminismo e la rivoluzione francese, ed è nell’opinione, l’innesco  “per la proprietà assoluta” (Marc Bloch), che il Medio Evo invece aveva ignorato, e l’acien régime, per quanto assolutista, ancora ignorava. Mentre non condannava e non condanna l’assenteismo del fedecommesso, e anzi lo moltiplica nella libera negoziazione dei titoli di proprietà.

Marx non c’entra. Nei “diritti dell’uomo” Marx riconosceva “nient’altro che i diritti del membro della società borghese, cioè dell’uomo egoista, dell’uomo separato dall’uomo e dalla comunità”-       

Conservatore e ancora reazionario il sanfedismo lo era. O il massismo, che invece non si studia – il sanfedismo spogliato dei preti. Ma per una ragione: il popolo non si rivoltava a una rivoluzione per ignoranza o cecità, si rivoltava in difesa dei mezzi di sussistenza: i liberatori toglievano e non davano. È il meccanismo del moderno imperialismo.

Mafie
Festival delle Religioni a Firenze, tre giorni in sedi prestigiose, il Battistero, la moschea, la sinagoga, l’auditorium Stensen dei gesuiti, la Loggia dei Lanzi in Piazza della Signoria. Con lectio magistralis di Paolo Mieli, dibattiti curati da Cesara Buonamici, Fiamma Nierenstein, Alberto Castelvecchi, Maurizio Crippa, e concerto di Alessandro Preziosi, Stefano di Battista, Andrea Rea, nessuno dei quali (forse Rea, o di Battista?) è credente. A Sant’Onofrio di Vibo Valentia, invece, il vescovo proibisce la cerimonia pasquale dell’Affruntata, per infiltrazioni mafiose tra i portatori delle statuine. Sfidando lo sdegno dei fedeli.
Il vescovo obbedisce alla Prefettura, che a Vibo Valentia commissaria un po’ tutti i Comuni, per promuovere commissari i suoi impiegati, senza mai denunciare nessuno. Per l’Affruntata la prefettura aveva previsto come portatori gli addetti alla Protezione Civile, per beneficarli con lo straordinario festivo, oltre la gita a Sant’Onofrio. Le statue sono minute e di gesso, non una gram fatica per gli impiegati della Protezione Civile.

Di Matteo, il Procuratore della Repubblica dello stato-mafia, e Ingroia ingiuriano il professor Fiandaca, il loro mentore all’università, che si candida per il Pd alle Europee. Di Matteo sberleffa anche Teresa Principato, capo della Procura antimafia. La quale critica con asprezza il procuratore Capo Messineo. Tutto questo a Palermo, scrive Andrea Marcenaro su “Panorama” – di passata, come un  fatto ordinario.
Il Procuratore aggiunto dell’Antimania, Leonardo Agueci, sempre a Palermo, scrive ancora Marcenaro, poche righe, ha parole di fuoco contro Ingroia. Ed è rimbrottato a sua volta da Scarpinato, ora capo della Procura Generale e suo maestro e mentore. Ma nella Procura antimafia non si trova a suo agio nemmeno la sostituta Lia Sava, al punto che deve parlarne male in pubblico e in termini irriferibili.

leuzzi@antiit.eu

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