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mercoledì 23 aprile 2014

Rifarsi una vita in un mondo senza donne

Due storie smazzate in una. Dei migranti in cerca di una nuova vita, quelli sopravvissuti al naufragio, nella quale parlano una lingua estranea, fanno gli scaricatori di porto, di grano che i topi si mangiano, si nutrono a pane e acqua, ospitati dall’assistenza pubblica in stanze senza finestre, e in scuole di correzione. E della vita da separati, o della revulsione femminile, con l’esclusione vendicativa dell’amore paterno. La prima è l’ennesima storia d’infanzia tradita, la seconda è più appetibile.
Sotto le spoglie di un Candido nelle meraviglie dell’immigrazione clandestina, in una Novilla che potrebbe essere Melilla ma è un non luogo, dove il migrante si deve spossessare della sua identità per costruirsi, come si dice, una nuova vita, il “padre” perde il contatto col figlio, mentre sbatte in una femminilità che si nega. Annoiata, frigida, supponente, e perfino, al bordello, burocratizzata – “faccia domanda, c’è la lista d’attesa, sarà chiamato”. Senza accorgersene, da credente nella sostanza del femminile, amorosa, materna, amichevole. Senza scandalo, nella normalità e anzi nella buona volontà. Ma come se fosse sbucato dall’oceano in un continente refrattario all’umano.
È un inizio? Il filone potrebbe essere incontenibile, l’inizio di una rivoluzione. Coetzee è premio Nobel già da dieci anni, e dunque non sospettabile di scorrettezza politica. Ma a una rivolta, seppure quieta, accennata – originata, chissà, dalle ferocie delle separazione, specie quando ci sono figli. Tanto più necessaria ora che il dna scopre così tanti padri di figli non propri.
J.-M.Coetzee, L’infanzia di Gesù, Einaudi, pp. 256 € 20

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