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lunedì 21 aprile 2014

Calvino celebra cinico a Mosca il culto dei capi

Il “Diario” raccoglie le 22 corrispondenze per “l’Unità” (più una per “Rinascita”), che ora si leggono sul Meridiano Saggi, di Calvino in viaggio per quasi due mesi in Russia, ospite del governo sovietico, nell’inverno del 1952, ultimo di una serie di invitati italiani, giornalisti, scrittori (Bigiaretti, Renata Viganò), uomini di partito. Una serie di meraviglie.
È Calvino che inaugura la celebrazione dell’ospitalità sontuosa e dei banchetti di cui resterà vittima tre anni più tardi Carlo Levi. Ma Calvino è più sgamato di Levi: trova motivo di apprezzamento nel collettivismo, al teatro, allo stadio, al concerto, alla balera, nell’uguaglianza, senza eccezioni naturalmente, nei “piccolo naturalisti”, i pionieri che fanno gli esperimenti di Lyssenko, e nel culto dei capi. Sì, il popolo russo si commuove per Lenin, e anche per Stalin. Calvino, a differenza di altri pellegrini illustri, non fa magniloquenza, predilige storie e particolari minimi, “spontanei” come dice – ma allora nell’alveo del russismo di maniera, con riferimenti costanti a Tolstòj e Dostoevskij quali si sono erroneamente fantasticati, dalla passioni semplici seppure forti.
Sono, come prose giornalistiche da inviato speciale, quanto di più sensibile e ricco, fantasioso, immaginativo, si possa leggere, delle corrispondenze grate al lettore, precise, curiose, sempre interessanti. Ma si sanno false. Ora e forse allora, forse sono state scritte false – che sarebbe terribile, ma non è escluso. I pellegrini politici a Mosca vi esercitavano la “vergogna di essere borghesi”, che Vittorini attizzava – mettendola probabilmente in berlina – sul “Politecnico”. Nella coeva corrispondenza privata Calvino, più che sgamato, appare già blasé, come probabilmente era di natura, disinvolto e sornione. Il “Diario di viaggio” potrebbe essere un tantino cinico, insomma, tanto più per essere ben orchestrato.
Nel primo articolo per “Repubblica”, 16-17dicembre 1979, titolato “Sono stato stalinista anch’io?”, se lo dirà da sé: “Questo modo non monumentale di presentare l’URSS mi pareva il meno conformista. Invece la mia vera colpa di stalinismo è stata proprio questo: per difendermi da una realtà che non conoscevo, ma in qualche modo presentivo e a cui non volevo dare un nome, collaboravo col mio linguaggio non ufficiale che all’ipocrisia ufficiale presentava come sereno e sorridente ciò che era dramma e tensione e strazio.”  Commenterà Paolo Amadio, studioso di Calvino dromomane: “Egli era in effetti un buon propagandista, che sapeva sottolineare i lati obbiettivamente positivi della situazione”.
Il ravvedimento sul “Diario di viaggio” era stato immediato, sei anni dopo i fatti, pochi mesi dopo l’Ungheria, su “Cinema nuovo”, a proposito del film “La caduta di Berlino” che a Mosca l’aveva commosso: ci aveva visto “un esempio di stile popolare ricco d’ invenzione poetica, in opposizione al grigiore del realismo socialista”, ci vede “un film profondamente reazionario, e reazionario credo il suo linguaggio, in quanto ispirato a un modo intellettualistico, paternalistico e folkloristico di considerare il «gusto popolare». È stato proprio questo tipo di stilizzazione, forse, il vero corrispondente linguistico dello «stalinismo»”.
Ma sempre con ambivalenza. c’è ambivalenza. Qualche mese dopo lo “stalinismo” della lingua di legno, recensendo “Il dottor Živago”, in “Pasternak e la rivoluzione”,  lo  definirà “un romanzo sovietico”. Sempre con l’illusione della verginità: “Quei ragazzi del principio del secolo, Jura, Gordon e Tonja, che fondano un triumvirato «basato sull’ apologia della purezza», non hanno forse lo stesso viso fresco e remoto dei Kosmomolnij tante volte incontrati nei nostri viaggi di delegazione? Ci chiedevamo allora, vedendo l’ enorme riserva d’energie del popolo sovietico sottratta al vertiginoso affanno (girare a vuoto di mode ma anche smania di scoperta, di prova, di verità) che ha conosciuto negli ultimi quarant’anni la coscienza nell’occidente (nella cultura, nelle arti, nella morale, nel costume), ci chiedevamo quali frutti avrebbe dato quell’assidua ed esclusiva meditazione dei propri classici, nel confronto con una lezione dei fatti quanto mai aspra e solenne e storicamente nuova”. È il viaggio di un Candido?
“Olocausto del pensiero” dirà questi viaggi e le loro corrispondenze Nello Ajello sornione già quarant’anni fa. Ma Calvino ci credeva. A Michele Rago (la lettera è ora in “I libri degli altri”) di ritorno da Mosca scrisse: “Ti dirò anche dell’Urss che è un’esperienza che m’ha fatto molto bene, perché ti trovi davanti a un senso di «spontaneità», di «naturalità» nuova, distantissima da questa nostra continua necessità di tensioni volontaristiche a caldo e a freddo”. Calvino era a suo modo ben volontaristico, l’ingenuità non è innocente.

Italo Calvino, Diario di viaggio in Urss 

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