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mercoledì 28 settembre 2016

Spatuzza santo subito, dei killer

Spatuzza non ha niente da dire che non abbia detto. E sempre si lamenta povero e abbandonato – come tutti, primo Ottocento (già Dickens ne sa di più).
Non si capisce la ratio  di questo libro. Non è nemmeno il solito sermone anti-Berlusconi, quelli che si scrivono, si scrivevano, per uscire su “la Repubblica” o “l’Espresso” – il rito degli autori della “resistenza”. Berlusconi viene abbondante quarto nelle citazioni – dal suo nome Spatuzza non si aspetta più nulla? Qui si parla soprattutto dei tre Graviano, i padri-padroni del killer. Del quale non c’è una piega di condanna, solo comprensione – “misericordia”?
Ben nove incontri tra la studiosa e il killer. Dino dice che sono avvenuti nel mezzo di un periodo “di grande sofferenza”, poteva almeno risparmiarsi Spatuzza. E le venerabili edizioni del Mulino? Dov’è finita la sociologia?
 “Un racconto di vita una storia di stragi” è il sottotitolo. Di stragi, s’intuisce naturalmente, a opera dello Stato, con o senza Berlusconi, di vita invece di Spatuzza. E di vita del centinaio di persone da lui uccise, molte delle quali non erano nemmeno mafiose? Una testimonianza “pulsante”, dice la studiosa. Di che?
Di Spatuzza, il centokiller, valga quello che si scriveva su questo sito il 7 dicembre 2009:

Il corteo palermitano a Torino in onore di Spatuzza è una coppa del mondo data vinta alla mafia, alla mafia mafiosa degli Spatuzza e dei Graviano, i killer e i boss. Un mago del marketing mafioso non avrebbe saputo inventare di meglio. E tutto gratis, a spese dello Stato, cioè degli onesti. La Corte d’Assise d’Appello, completa di giuria, che viaggia da Palermo a Torino per ascoltare il gran pentito Spatuzza, alla presenza di duecento giornalisti, che c’entra con la mafia? Che c’entra con il Sud? È una guerra tra De Benedetti e Berlusconi, tra Bazoli e Berlusconi, cui i giudici siciliani si prestano proni per loro particolari ragioni, e anzi in contrasto con i loro doveri istituzionali. Una scaramuccia in realtà, lupo non mangia lupo: non ci libereremo di Berlusconi, il padrone dei nostri voti, né di De Benedetti o Bazoli, i padroni della nostra opinione e dei nostri soldi.
“Spatuzza è un killer brutto quanto spietato, l’emblema anche fisico della stupidità assassina. Lo proteggono venti agenti addetti alla sua protezione personale, venticinque agenti in vario modo incaricati del trasporto, e settanta tra poliziotti e carabinieri addetti alla sorveglianza…
Uno che denunciasse un sopruso di mafia, un danneggiamento, un’estorsione, Libero Grassi per esempio, non avrebbe, non ha mai avuto, neanche un millesimo di questa sollecitudine. Bisogna arguirne che lo Stato è mafioso? No.
“Il pentito Spatuzza è un caso abnorme. Uno che da tempo studia teologia in carcere, ma si ricorda dopo quindici anni. E dopo che da ben sette anni i suoi (ex?) capi mafiosi gli chiedono di ricordare. Capi in isolamento, che però lo possono incontrare nel supercarcere di Tolmezzo, per distesi dialoghi – Spatuzza è uno che è lento a capire.
“Ma più del colloquio boss-killer a Tolmezzo, è mafiosissimo il colloquio tra Procuratore e boss, il giudice Alessandro Crini e uno dei fratelli Graviano, Filippo, a proposito del convitato di pietra Berlusconi, qui riportato nella redazione del “Corriere della sera” del 29 novembre: http://www.corriere.it/cronache/09_novembre_29/pm-domande-spatuzza-berlusconi-bianconi_c286a9a4-dcbf-11de-8223-00144f02aabc.shtml

Procuratore: «Con lei si parla bene, un italiano consapevole, queste cose le capisce al volo... Noi pensiamo che Spatuzza abbia capito bene, e pensiamo che lei si sia difeso molto bene, con un’interpretazione molto saggia, che però secondo noi non è quella giusta».
Graviano risponde che lui non dice bugie; semmai non dice. E ribadisce di «non avere cognizione, né diretta né indiretta, di questi impegni, accordi, o come si possono chiamare; ma quella risposta articolata che vi ho dato è per aprirvi un sentiero, diciamo... ».
“Pier Luigi Vigna è il giudice fiorentino che è stato a capo della Procura nazionale antimafia. Al “Corriere della sera” del 29 novembre ricorda di avere incontrato un paio di volte Spatuzza, “nel 1999 o nel 2000”. Lo ricorda “intenso”, e “assai tormentato”. Un killer di mafia, autore di almeno cento assassinii. Sotto l’incubo del 41 bis. E uno dice: chi ci protegge? Non dai mafiosi.
“Spatuzza in carcere diventa teologo. Un killer volpino (il tipo qui lo dico, qui lo nego) nella foto dell’arresto. Il suo boss Graviano diventa economista. Tutti con buoni voti. Bene assistiti dai tutor. È il carcere una buona università, o viceversa?
“La storia dei pentiti è tutta disonorevole. Il pentito negli Usa si deve pentire “tutto insieme”: deve dire tutto quello che sa, dopo essersi preparato, a tutti gli inquirenti che possano essere interessati alle sue confessioni, magistrati o poliziotti. Non all’orecchio di questo o quell’inquirente, magari suo sodale. Non a rate. Il nemico, seppure retribuito, in America è sempre un criminale. Roba da sbirri, che sempre hanno avuto da fare con confidenti e mezzani. Solo nella giustizia italiana diventano martiri, per sbugiardare la giustizia.
“Buscetta, a parlarci, era un evidente bugiardo. E tuttavia scrittori molto apprezzati e molto pieni della propria onestà, Biagi, Bocca, i sicilianisti, ne hanno fatto un monumento: di correttezza, onestà, coraggio. Un criminale che ha vissuto magnificamente metà della sua vita, protetto come un capo di Stato e con lauti rimborsi spese dello Stato. Era pronto anche a chiamare in causa Andreotti, dopo avere negato questo favore a Falcone, quando i nuovi procuratori ebbero bisogno della sua collaborazione”.
Alessandra Dino, A colloquio con Gaspare Spatuzza, Il Mulino, pp. 312 € 20

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