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venerdì 17 giugno 2016

L’euronoia

È difficile dare la palla più agli avversari che ai compagni di squadra. L’Italia ci riesce. Non si può dire ma è quello che vediamo.
L’Italia però non è la sola: questo Europeo è la sagra delle palle perse. Un torneo tra gli avvocati dopo il lavoro, o i bancari – senza la pancetta ma non in tutti i casi, sotto i tatuaggi si vedono anche  pancette. Selezioni nazionali che in una Champions non sarebbero passate ai preliminari, nella sezione Primavera.
Tutti simulano liberamente. Si mettono le mani addosso. Si tirano gomitate omicide, in elevazione e da fermi. Solo il pestone viene punito. Il calcio ha cambiato natura? In Europa sì.
I nostri pomeriggi e le serate sono di gioco uniforme e spento. Salire lateralmente e poi dal fondo  fare il famoso cross o traversone, che Altafini diceva il tiro più inutile, posto che l’avversario abbia una difesa e può guardare in avanti. Niente fantasista – dove ce l’hanno lo castrano. Niente centravanti di sfondamento. Niente schemi. Niente velocità. Nessuna invenzione, non uno sfondamento in massa, non un gesto tecnico degno di nota. L’unico gol vero di una ventina ormai di partite sarà stato quello del piccolo Giaccherini, e del non tecnico Bonucci. L’univa emozione le lacrime di Payet, l’assist-men, fantasista quando giocava col ripudiato Garcia, ora gregario.
È l’Europa: niente fantasia, e nemmeno tanta voglia: albagia e mediocrità. Dei calciatori e anche dei tecnici. Eccetto Lagerbäck, che ha tirato fuori una squadra dalle notti e i ghiacci. E Löw, che della mediocrità ha fatto una strategia e una tattica.  .
Si guardano gli Usa in Copa America e si resta allibiti: schemi, velocità, perfino tecnica individuale. E si veda l’Italia, o la Svezia, o il Belgio, o anche la Germania. E uno si dice: l’evoluzione c’è eccome, è anche rapida. Si capisce anche perché sono scomparsi i dinosauri.

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