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giovedì 20 luglio 2017

La grande ruberia del debito

Non si dice, fra i tanti scandali, quello del rating, il più grave, e redditizio per i ladri, di tutti. Passato indenne nell’inchiesta penale di Trani, e perciò senza colpa. Mentre è lo scandalo permanente, tanto più grave in quanto impunito, del mercato inteso come la forza della specuiazone.
L’Italia paga 30-40 miliardi l’anno in più del dovuto ai signori dei fondi e delle finanziarie di varia natura che speculano sui bot e i cct, un investyimentol arcisicuro, col concorso e la serena operosità delle agenzie di rating. Nell’assalto della speculazione all’Italia degli anni 2011-2014, quando l’Italia doveva uscire dall’euro per far crollare il tutto, hanno i titoli del debito pubblico di rating minacciosissimi, prossimi alla spazzatura. Gli stessi della Colombia, della Romania e della Bulgaria, del Sud Africa, dell’Azerbaigina, del Bahrein, l’unico emirato povero, dell’India, del Marocco, dell’Uruguay. Peggio del Messico, del Perù, delle Filippine, della Thailandia. Infinitamente sotto le petromonarchie, che potrebbero svanire con tutto il debito in un giorno. Il sesto o settimo paese più ricco del mondo. La seconda potenza industriale europea, dopo la ben più grande Germania. Quella che ha la più elevata quota di rispamio privato, in rapporto al reddito – l’indice più siciuro della solvibilità. Quella che ha fatto più “riforme” di tutti: privatizzato più della Germania e molto più della Francia, elevato l’età della pensione a livello record, con un mercato del del lavoro che più liquido non si può, con un attivo primario di bilancio costante da un venticinquennio ed elevato.
Il rating non è obiettivo, e non è nemmeno anodino come si pretende. Consente enormi benefici, in sicurezza, agli investitori. E facilita nuovi declassamenti e aggravamenti del costo del debito. È cioè un circolo vizioso.

Lo spread non incide, così si pretende. Invece incide molto. La Gerrmania, con un debito in assoluto più alto di quello dell’Italia, ogni anno “risparmia” sui 40 di interessi rispetto a quanto paga l’Italia con un debito inferiore. 

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