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sabato 6 aprile 2019

Letture - 380

letterautore


Germania – Goethe la rappresenta, scriveva Croce (aprendo un messaggio alla radio il 21 maggio 1949, per presentare le celebrazioni del secondo centenario della nascita di Goethe), per esserne diverso - come avviene in Italia con Dante: “I grandi poeti non sono gli interpreti e i rappresentanti dei loro popoli” così cominciava l’allocuzione,  ma ben piuttosto i loro contrarii, i loro critici, correttori ed integratori”. Lo stesso per Cervantes e gli spagnoli, o per Shakespeare e gli inglesi. “E Goethe, sereno, armonico e largamente umano di fronte ai suoi tedeschi, amanti di guerra e fanatici per la loro stirpe, e serii bensì e laboriosi ma anche non poco pedanti”.

Ebbe l’egemonia culturale approssimativamente nel secolo che va dalla Restaurazione al primo dopoguerra. Ma sfalsata rispetto alla fioritura culturale, che è stata precedente, ed è stata successiva – Brecht, Th. Mann et al..

Goethe – Il “Viaggio in Italia” redasse e pubblicò come una tarda, estrema, difesa del classicismo contro il romanticismo. Come dimostrano le prime reazioni alla pubblicazione. Lo spiega Marino Freschi sul “Mulino”.
Freschi lo fa rilevare dai primi commenti, all’uscita del “Viaggio”. L’ambiente era ormai romantico, avverso al classicismo, al tentativo weimariano di classicismo, a opera di Goethe e di Schiller, “e i commenti al libro non si fecero attendere”. Tutti meravigliati, e ostili: “Proprio da Roma, dagli ambienti particolarmente sensibili e autorevoli del Romanticismo, partirono le critiche più vigorose. I Nazareni, i celebri pittori tedeschi trapiantati a Roma alla ricerca dell’arte sacra cristiana, rimasero sbalorditi dal «paganesimo» del libro e dall’unilateralità delle scelte italiane di Goethe. Niebuhr, uomo politico e storico insigne, da Roma elencava a Savigny, il caposcuola del pensiero giuridico tedesco, le volute stranezze del viaggio italiano del massimo poeta tedesco. La più vistosa fu la permanenza di solo tre ore a Firenze, nonché l’omissione della visita alle Cascate delle Marmore. A ciò si deve aggiungere l’ostinata e ingiusta polemica contro «il triste duomo di San Francesco» ad Assisi, volutamente trascurato per esaltare il tempietto classico di Minerva, oggi Santa Maria sopra Minerva. Niebuhr conclude: "Dico tutto ciò solo per confermare il mio giudizio che Goethe ha visto senza amore. E proprio lui che da giovane aveva entusiasmato i tedeschi per l’arte medievale!”. Mentre da Parigi il giornale “Le Globe” ne difende l’“oggettivismo impolitico”.
Nella ricostruzione goethiana il viaggio fu anche bislacco, fa notare Freschi: “Comincia alle tre di notte del 3 settembre: Goethe parte senza avvertire nessuno, né il sovrano di cui era ministro e amico, né l’amata Charlotte, che pianta in asso senza nemmeno un bigliettino” – il rapporto fu presto recuperato col sovrano – che “invece di licenziarlo in tronco, acconsentì a un congedo (retribuito) di quasi due anni” e al ritorno “gli aumentò lo stipendio e gli ridusse notevolmente il carico di lavoro” – ma non con Charlotte, che non gradì il diario di viaggio che Goethe dirà a Eckermann nel 1829 di averle portato (senza drammi: Goethe, dopo la rovente e liberatoria stroia romana comn Faustima, govane popolana, si legherà a un’atra giovane popolana, Christiane Vulpius, che nel 1806 sposerà.

Strano il “Viaggio” è sempre sembrato. Di fatti avvenuti tra il 1786 e il 1788 Goethe scrive quasi trent’anni dopo, nel 1816. Distruggendo poi i documenti su cui ha ricostruito il viaggio stesso.
A Roma Goethe fu sotto pseudonimo, quello del pittore Philipp Möller. Temendo l’Inquisizione, dopo la condanna del “Werther” per istigazione al suicidio. E per essere massone, propriamente della loggia degli Illuminati allora sotto processo curiale. Ma fu un soggiorno liberatorio, dal lato sentimentale e, soprattutto, da quello letterario: dopo dieci anni da funzionario a Weimar, ritrova l’estro artistico: dipinge, e torna alla poesia, con le audaci “Elegia romane” per Faustina. Lascia la città in una “struggente notte di pleniluono”, con la sicurezza ora che l’arte è la sua missione – assomigliandosi perfino a Ovidio mandato in esilio. A Roma sarà seppellito il suo unico figlio, August, morto nel 1830, nel cimitero degli Inglesi. Qualche mese dopo, prima di morire egli stesso, Goethe confidava a un amico che gli unici momenti felici della sua vita li aveva vissuti a Roma.

Oriente - È, era, il luogo degli eroismi? Pavese lo ipotizza attraversando l’antichità (“La Chimera”, il secondo dei “Dialoghi con Leucò”), ma su riferimenti che sembrano attuali: “Volentieri i giovani greci andavano a illustrarsi e morire in Oriente. Qui la loro virtuosa baldanza navigava in un mare di favolose atrocità… Inutile far nomi. Del resto le Crociate furono molte più di sette”.
Già Omero ne parla, aggiunge Pavese: “Della tristezza che consunse nei tardi anni l’uccisore della Chimera, e del nipote Sarpedonte che morì giovane sotto Troia, ci parla nientemeno che Omero nel sesto dell’«Iliade»”.

Rosso – Dominique Fernandez, l’italianista accademico di Francia, traccia un vorticoso repertorio del sospetto e le condanne che il colore ha registrato nella storia, la filosofia e la letteratura – nel romanzone-saggio “La société du mystère”, in cui rifà gay il Rinascimento, seppure al coperto. Gli egiziani facevano sgozzare i nemici dai capelli rossi, i sumeri li decapitavano,  i persiani li interravano viventi sotto uno strato di rifiuti. Aristotele: “Il colore rosso è una specie d’infermità della peluria”. Marziale se la prende in un epigramma con un rosso di pelo. Giambattista della Porta. “Il rossore dei capelli denota stupidità, predisposizione all’intrigo, vocazione al tradimento, inclinazione alla follia”. Giuda non poteva essere che rosso. Lo stesso la volpe, furba e cattiva. Masaccio ha visto rossi Adamo e Eva cacciati dal paradiso. Il Vautrin di Bazac , genio dell’inferno, è rosso e ha le falangi ricoperte di peli “di un rosso ardente”.L’infame Thénardier di Hugo è rosso. “L’odore dei rossi” s’infiltra nello studio del dottor Bovary. Nanà la prostituta e Gervaise l’ubriacona di Zola hanno il vizio inscritto nei capelli rossi. Per Lombroso naturalmente le rosse sono specialmente inclini al “crimine di lussuria”. E poi c’è il dottor Émile Laurent, medico delle prigioni di Parigi, secondo il quale “un letterato distinto non può, quando incontra una donna rossa per strada, impedirsi di seguirla”.

Anche l’Inghilterra è perfida perché rossa? Fernandez lo dice in forma interrogativa: “L’adagio «la perfida Albione» non deriva da quest’altro pregiudizio: «Tutti gli Inglesi sono rossi»?”
Ma Albione, l’antico nome della Gran Bretagna, non deriva in realtà dal bianco, la radice alb-? La Scozia, l’Irlanda e il Galles originariamente erano Alba, o qualcosa di simile.

Rovine – Sono nuove in letteratura, piuttosto che vecchie. Walter Benjamin, appassionato contemporaneista, il critico “militante” di una volta, vi passeggia tra le consuete letture, in “Paesaggio con rovine”.

Stroncature – Mephisto, ironico stroncatore delle arti e le lettere in prima sul supplemento “Domenica” del “Sole 24 Ore”, lamenta questa domenica che il bimillenario della morte di Ovidio sia passato inosservato - “tranne che a Sulmona”, dove nacque. Che invece non ha fatto niente. Mentre a Roma ha avuto una mostra monstre, piena di prestiti pregiati a tutto il mondo. Per Mephisto Roma non esiste?

Viaggio – È la meraviglia, per uno stanziale come Baudelaire – che viaggiò giusto in Belgio, dove stette malissimo, ci scrisse sopra un libro. È con un poemetto “Il viaggio” che conclude “I fiori del male” – dedicato a un grande viaggiatore, Maxime du Camp: “Per l’infante, goloso di carte e di stampe,\ l’universo è uguale al suo vasto appetito”.


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