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domenica 12 gennaio 2020

Non c’è amore senza sesso

Nel film che Pasolini ne ha tratto, 1962, Moravia e Musatti inquadrano, all’inizio e alla fine, una serie di incontri-conversazioni dello stesso autore con vari personaggi, senza nome e di nome, sul sesso. Sulla pratica e il senso del sesso. Non del tipo confessionale naturalmente: senza colpa. E nemmeno in privato, in confidenza, fuori: in treno, al bar, sulla spiaggia, in campagna all’aperto i contadini. Con toni perentori – non inquisitori, Pasolini è gentile, ma non conversa (celia, ammicca, perifrasa).
In realtà non conversazioni ma una serie di imbarazzi. Nessuno vuole raccontare di come fa o pensa al sesso, non a lui, non allo scrittore e regista, non davanti alla macchina da presa. Chissà cosa avrebbero detto se richiesti, per esempio i contadini, di altre cose anche non tanto intime, da estranei per quanto di gran nome, accompagnati da operatore, macchinista, aiuto macchinista, pareti antiriflesso, fari, generatori rumorosi e ingombranti, tutto il trambusto che il cinema richiede.
Pasolini non ci pensa. Trova tutti reticenti, ricchi e poveri, intellettuali e ignoranti. E con l’aiuto delle due M finisce per dire al solito gli italiani, anche per questo verso, brutti, sporchi e cattivi. Ipocriti, ignoranti, razzisti, sessuofobi (gli italiani?).
“La furberia e l’arte di arrangiarsi sono poi in fondo l’unica filosofia italiana”, è anche qui la filosofia di Pasolini. Musatti veramente no: a Moravia in terrazzo obietta che di fronte alla cinepresa “la gente o non risponde o risponde il falso” – oppure si atteggia, perché no, a tutti piace recitare, il palcoscenico, l’esibizione. Ma solo Moravia per la verità sembra credere al cinema-verità. Pasolini, che sembra praticarlo, è sornione. Vuole dare scandalo, piccolo, minimo, e lo dà. Della sua idea dicendo “una sorta di crociata contro l’ignoranza e la paura”.
O non sono questi gli argomenti eterni dei sessuologi, sia pure analisti – altrimenti che ci stanno a far e? Li ripete pari pari oggi, sul “Robinson” di “la Repubblica”, la professoressa Chiara Simonelli conversandone con Massini: “Siamo reticenti, preferiamo le mezze bugie. Ne derivano stereotipi e,  peggio, omofobia e femminicidi”. O: “Il linguaggio dell’insulto ci consegna due archetipi fortissimi: l’uomo è coglione, la donna puttana. Già questo ci dice molto”. Già. Anche dei sessuologi.
Si dice di Pasolini che era un mini-D’Annunzio, in ritardo – fuori epoca. In realtà ha raccolto, scientemente, proprio di mestiere, giornalisticamente e autorialmente, l’eredità di Malaparte. Che qui si vede plateale, oltre che nelle rubriche giornalistiche del tipo “Battibecco”. Di un dannunzianesimo prosastico: legato alla realtà, all’attualità. Sui toni savonaroliani, del contraddittore.
Un libro per il resto da collezione. Con un saggio di Cerami e uno di Foucault, e un articolo di Dario Argento. A cura di Graziella Chiarcossi - che nel film interpreta l’unica scena non documentaria, quella finale del matrimonio con l’abito bianco - e Maria d’Agostini. Con le fotografie di Mario Dondero, che hanno servito per il documentario, e quelle di Angelo Novi, da molti anni non più in circolazione. Con i dialoghi e materiali prepatori – non era meglio un dvd col film, e le foto di scena di Novi e Dondero, o se ne sarebbe vista la pochezza?
Pier Paolo Pasolini, Comizi d’amore, Contrasto, pp. 200, ill., € 19,90

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