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Quante specie di dolori
La conoscenza del dolore
è, dovrebbe essere, parte dell’alfabetizzazione, è la conclusione: “La
conoscenza, vorrei dire la cultura, alza la soglia della sofferenza”. Al termine
di una conferenza – lectio magistralis - tenuta da Eco nel 2014 a Bologna,
all’Accademia delle Scienze di Medicina Palliativa: sapere perché si soffre. Un’altra applicazione della
passione classificatoria di Eco. Applicata, come è negli scopi dell’Accademia,
non tanto o non solo alla malattia, e “in un contesto semiologico, storico,
filosofino”, non medico.
Eco parte da Esiodo, dai
mali sulla terra, passa per le teorie musulmane sui rimedi ai dolori d’amore, e
si dilunga sul cristianesimo, che fa sue le pene del Cristo, nella trattatistica,
nella preghiera, nelle immagini. Per Aristotele “il saggio cerca di
raggiungere l’assenza del dolore, non il piacere”, per il cristiano il dolore è
lo strumento della redenzione. Con estesa casistica.
Con Remo Bodei, poi, Eco
esamina il dolore che fa il romanticismo. Da Hölderlin, e naturalmente Leopardi,
fino a Schopenhauer, “per cui la stessa filosofia nasce dalla cognizione del
dolore” – e a Nietzsche, id. A Dostoevskij, “I Demoni”, a Proust, al solito lucido
Pavese del diario.
Nel Romanticismo è anche il
dolore per la propria bruttezza – esemplare, anche se fuori periodo, quello di Sartre
bambino ne “Le parole". Col Romanticismo anche la Schadenfreude, il gusto
per il dolore degli altri. Fino alla “Poesia cimiteriale”. E, in parallelo, la
letteratura “gotica” e il cinema alla Tarantino.
Umberto Eco, Riflessioni
sul dolore, La nave di Teseo, pp. 61 € 8
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