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lunedì 7 marzo 2011

Letture - 55

letterautore

Autore - È superfluo: in nove casi su dieci, o 99 su 100, il libro è utilizzabile senza copyright. Serve all’indice degli autori, per dire che una certa pagina è in un certo libro.

Baudelaire – È il prototipo dell’autore: solitario, polimorfo, intrigante. E un gigante. Ma nevrotico: si penserebbe dell’autore che liberi la fantasia, e quindi il mondo, e invece è uno psicopatico. Su di lui per esempio abbiamo scoperto: Maurice Barrès, “La folie Baudelaire”, Starobinski, “La mélancholie au miroir”, che è la stessa cosa di follia, e G.Blin, “Le sadisme de Baudelaire”, mentre Nadar fa risalire il tutto all’impotenza dell’amico, che forse era finocchio.
Ota Roberto Calasso, rifacendo “La folie Baudelaire”, dice il “Mio cuore” “il più importante supplemento a Joseph De Maistre” – ma a “quale” J.De Maistre?

Per molti anni, e poi nella memoria, il libro delle consolazioni è stato “Il mio cuore messo a nudo”. Una sorta di rivelazione anche, benché il ricordo non precisasse di che. Riprendendo ora il libro, la traduzione Einaudi del 1955, la prima lettura si conferma adolescenziale. Ma il volumetto risulta anche sguarnito del segnalibro che di solito appunta le pagine memorabili. Solo un’inconsueta sottolineatura a matita attesta l’interesse morboso del vago ricordo. All’indice, al paragrafo “Considerazioni ultime sull’amore”. Ma non corrisponde a nulla, non avendo problemi di madre o amanti.

Croce - Il liberalismo del maggior filosofo liberale del Novecento (nella silloge “La religione della libertà”, antologia degli scritti politici, Sugarco 1986, e nella libertà come religione della “Storia d’Italia” e della “Storia d’Europa”) è ambiguo, anzi distorsivo Si può dire il maggiore abbaglio del grande scrittore, a specchio della sua filosofia di riporto, e di una filosofia della storia che è mero entusiasmo, l’idea dell’“idea”. Anzitutto nella politica della libertà, di cui ebbe concezione utilitaristica, per criteri che poi sarebbero stati detti “metapolitici”. Il suo liberalismo “supera la teoria formale della politica e, in un certo senso, anche quella formale dell’etica, e coincide con la concezione formale del mondo e della realtà... In essa si rispecchia tutta la filosofia e la religione dell’età moderna, incentrata nell’idea della dialettica ossia dello svolgimento, che, mercé la diversità e l’opposizione delle forze spirituali, accresce e nobilita di continuo la vita e le conferisce il suo unico e intero significato. Su questo fondamento teoretico nasce la disposizione pratica liberale di fiducia e favore verso la varietà delle tendenze, alle quali si vuole piuttosto aprire un campo aperto perché gareggino e si provino fra loro e cooperino in concorde discordia, che non porre limiti e freni, e sottoporle a restringimenti e compressioni”.
Da qui la benevola disposizione iniziale verso il fascismo. Dopo la guerra, invece, Croce lega il liberalismo alla democrazia: “Non bisogna dimenticare che il liberalismo disgiunto dalla democrazia inclina sensibilmente verso il conservatorismo, e che la democrazia, smarrendo la severità dell’idea liberale, trapassa nella demagogia e, di là, nella dittatura”. Ma allora lega il liberalismo all’intervento dello Stato nell’economia. Indefettibilmente. Ed questo il suo secondo abbaglio. Di contro, si suole dire, a von Hayek e Mises. Ma anche, com’è stato detto, a Einaudi, che del liberalismo sembra avere concezione fattuale, e invece ne ha una anche teoricamente robusta. E soprattutto alla concezione liberale americana, quella conservatrice rappresentata da Bruno Leoni e, in Italia, Riccardo Paradisi (ma sulla scia del realismo politico di consolidata tradizione, da Machiavelli a Hobbes, Alessandro Passerin d’Entrèves e Hannah Arendt). Per il rischio connesso alla democrazia e alla volontà generale: “La libertà individuale non può essere compatibile con la volontà comune ove quest’ultima sia solo un’impostura per celare l’esercizio di coazione sulle minoranze, che a loro volta non accetterebbero mai la situazione se fossero libere di rifiutarla” (Bruno Leoni). E per il potenziale “politico” del mercato: il mercato “potrebbe proprio essere… il pieno inveramento della società aperta, … l’acido corrosivo nel quale verrebbe a sciogliersi la residualità politica di ogni moderno leviatano statuale”, e per alcuni aspetti, “laddove si trattasse di mercato puro, … un nuovo feudalesimo, entro le coordinate del quale gli uomini potrebbero tornare a stipulare, secondo chiari rapporti di forza, patti rinnovabili di libera fedeltà reciproca”.

Pasolini – Le sue periferie tardo realistiche sono più svenevoli di “Cuore”. Più false anche, forse De Amicis ci credeva, il che nel 1960 non era possibile.
Parlando di Pasolini usa dirlo “vivo, pulsante, attuale”. Mentre è datato, di molti anni prima del suo arco di vita. E il rinculo prospettico aumenta tanto più ci si allontana dalla sua morte (presenza).

È capitato vent’anni fa di ascoltare a lungo alla radio Laura Betti parlarne credendola un uomo. Che tante volte gli diceva, dopo avere dormito abbracciati: “Vieni qui che ti penetro di nuovo”. Sembrano una mascherata, gli amici gelosi (golosi) di Pasolini, ma forse sono lui.
Col (falso?) “Edipadre”: “Quando era lontano le telefonava ogni giorno, ovunque si trovasse. Telefonate che finivano con baci, bacini come a una fidanzata. Quando morì il marito Susanna si mise il rossetto e andò al cinema con il figlio. E quando Pier Paolo morì lei divenne pazza”. Dacia Maraini a Valeria Numérico, “Epoca”, 24 giugno 1972.
In viaggio in Africa misurava i membri dei ragazzi. In versi e in prosa.

Cyril Connolly l’avrebbe incluso fra i “poeti-giornalisti” (Kipling), con l’ispirazione e la parola giusta per l’attualità, e l’espressione facile da leggere.

La timidezza aveva brusca, anche dura. Segno di un’ipocrisia di fondo? Anche la costante apoditticità, mascherata da poesia epica e “civile”.

Plagio– Se Savinio ha copiato Max Ernst, o Max Ernst ha copiato Savinio: nelle arti figurative la questione non è triviale. L’arte del falso è un’arte figurativa. Nella scrittura è impossibile.

Scrivere – Per Kafka “è una forma di preghiera”. Al modo della saggezza orientale: “Hai generato un figlio? Hai piantato un albero? Hai scritto un libro? Allora puoi iniziare la Grande Opera”. Per Wilde “è un castigo, anche se, come qualcuno ha detto della tortura, serve pur sempre a passare un’ora o due”. “Scrivo per non diventare un assassino”, scrive Mac Orlan.
Sono tutte formule apotropaiche?

Si scrive in sei modi. Tre dendriformi:
- in verticale, per lunghe sezioni giustapposte;
- in orizzontale, a spicchi, a cerchi concentrici, estensibili variamente;
- in trasversale, con le ramificazioni e le fronde (il plot e gli artifici di genere).
Tre pittorici:
- alla Caravaggio, a scene illuminate con bagliori;
- alla Giotto, con figura preminente;
- col dettagliamo paesaggista del Quattro-Cinquecento, con o senza le velature di Antonello o Leonardo.
In quest'ultimo modo con due approcci:
- alla Stendhal, cioè seccamente;
- alla Proust, caricando cioè il dettaglio di lirismo.

Premi - Si danno, la maggior parte, per ricavarne lustro, non per darne: è il premiato che dà tono e pubblicità. Le istituzioni, di qualsiasi tipo, sono in ribasso.

Sherlock Holmes – Il vero Freud, in quanto iniziatore della tecnica deduttiva e lui stesso principe dei deduttori – specialista in “concatenazioni” (questo avrà un significato nel profondo?). Il primo, e il vero, ispiratore delle legioni di psicanalisti. Freud ne ha solo adattato la terminologia, allungandone le “avventure”, uno degli imitatori più prolifici.

letterautore@antiit.eu

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