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giovedì 10 marzo 2011

Il racket delle rinnovabili

La riduzione degli incentivi alle fonti rinnovabili di energia provoca proteste interminabili. L’onorevole siciliano Micciché minaccia di far andare il governo in minoranza se non ristabilisce i vecchi incentivi. Gli operatori del settore minacciano ritorsioni – non si capisce su che, ma si mostrano numerosi oltre che agguerriti. I Verdi fanno valere che uno dei settori industriali più importanti, oltre che avanzato tecnicamente, va in crisi. Le industrie tedesche, che facevano largo affidamento sulle commesse dall’Italia, hanno in atto da tempo una vasta azione di lobbying, presso i giornali, i ministeri, e alla presidenza del consiglio. E ora protestano le banche.
La riduzione degli incentivi non mette in crisi le fonti di energia rinnovabili. Tanto più che i quattro quindi dei progetti messi in lista a fine 2010 per gli incentivi si sa, dagli stessi Verdi, che erano fantasiosi, e unicamente basati sulla larghezza degli incentivi. Mentre c’è – c’era – l’unanimità sull’eccessiva ampiezza in Italia degli incentivi alle fonti rinnovabili, rispetto agli altri paesi europei. Che poi di rinnovabile queste fonti hanno poco, essendo le installazioni deperibili e quindi da rinnovare periodicamente, cioè da rifinanziare con costanza a tempo indefinito. Costituiscono cioè un aggravamento definitivo del costo dell’energia, e non un alleviamento. Un costo che già in Italia è mediamente il più alto dell’Ue, per l’eccessivo ricorso che si fa al metano, la prima delle energie pulite.
Il ridimensionamento degli incentivi è insomma un atto dovuto. Ma il provvedimento ha evidentemente toccato un nervo scoperto. Confermando che le fonti rinnovabili sono la perla del sottogoverno, come si è sempre saputo. Con interessi inconfessabili. Di cui l’intervento delle banche lascia però presumere aspetti inimmaginabili: sono le banche il centro d questo sottogoverno, il collettore del finanziamento legale-illegale ai partiti?

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