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domenica 22 settembre 2013

Letture - 148

letterautore

Autobio – Si diceva parlarsi addosso, la scrittura peggiore. Ora, sul fondamento di Proust, dilaga rispettata, e quasi unica forma di scrittura. Parlarsi di sé, parlarmi di me, personaggio, autore e pubblico insieme, è la massima ambizione e la più gradita. Sicuri che sfocerà in un parlatemi di me. A partire dai ricordi d’infanzia da inventare liberamente.
È vero che “si” scrive. Girando attorno a sé. Svevo dava una coscienza di sé non importuna – di uno che la sua vita, non avendola vissuta, la scriveva. Il che è peraltro vero due volte: per lo scrittore la scrittura è vita, fa, corregge, struttura la vita. Svevo giungeva in vecchiaia, sempre non importuno, ad augurarsi una vita “letteraturizzata”, rivista se non riscritta: “L’unica parte importante della vita”, dice il suo “Vegliardo”, “è il raccoglimento”, e questa volta non fuori del senno comune. Ma qui è diverso: s’impone il sé, seppure fittizio, quasi sempre indigesto. Se ne fanno festival. Si celebrano. Se ne fanno festival, cioè si celebrano in massa. Ed è come un’aggressione: non più un racconto, ma un racconto falso volutamente imposto. Una falsità doppia, la seconda violenta: di un testimone falso, un denunciante, un informatore, che potesse ghignare soddisfatto e protetto delle sue falsità.
“Una sentimentale cappa del cuore o un’ostentazione”, dice Magris l’autobiografismo.
La memoria è fatta di buchi, di vuoti più che di pieni, ed è casuale (occasionale). Basta leggere Proust. Oppure Svevo, che dieci anni più tardi di “Dalla parte di Swann” già scrive una “Coscienza” piena d’ironia.

Bertolucci - Bernardo fu poeta crepuscolare agli esordi a vent’anni – quando già aveva filmato la morte del porco. Con la plaquette “In cerca del mistero”, titolo pascoliano. Ma più forse in armonia con l’umbratile Pasolini, amico di famiglia e mentore - anche se Bernardo mai gliene pagherà tributo. La raccolta di B.B. Gadda, che avrebbe voluto recensirla sul “Giorno” per sdebito col padre Attilio, apprezza non per altro, per non essere montaliana o luziana: :”Arrivare a fare a 20 anni, oggi dei versi discreti e non montaliani o luz…zureggianti, credo non sia trascurabile merito”, scrisse a Citati, suo patrono al “Giorno”. Cogliendone subito però l’aspetto distintivo di una vita, il rapporto conflittuale con l’ottimo padre: “Il maestro di B.B. è il padre A.B. e non il pigolante Zvânì”, Pascoli: “Forse B.B. vuole «distaccarsi dal papà», con l’orgogliuzzo, tipico dei giovani, di creare un distacco, un crepaccio, tra la propria vetta dolomitica e la prossima vetta del padre”. E insisteva: “Crepaccio analogo a quello che separa e identifica le Cinque Torri, o le stregate parvenze della Croda da Lago”. 

Editoria – Si fa sempre gran caso, specie ora per il centenario della prima edizione, di Proust che dovette pagarsi la pubblicazione di “La strada di Swann”, benché non fosse un esordiente, e da un editore commerciale noto e non da uno “di vanità”. E dovette orchestrare l’uscita del libro con gli amici, le conoscenze nei giornali, e le auto recensioni. Anche Gadda – lo spiega a Neri Pozza in una lettera del 1946 – ha dovuto pagarsi per una decina d’anni la pubblicazione dei suoi “primi 4 libri”, in tirature limitatissime, benché curati, “con perizia rara”, da Alessandro Bonsanti, “cui va la mia gratitudine affettuosa”, e la pubblicazione di scritti vari sulla rivista “Solaria”. I libri sono “La Madonna dei filosofi” (1931), “Il castello di Udine” (934), “Le meraviglie d’Italia” (1939) e “Gli anni” (1943), pubblicati dai fratelli Parenti: “Per ognuno dei quattro ho sborsato una certa somma, a titolo di contribuzione spese-stampa: diciamo 1500 di allora, ogni volta; piccole somme ho mandato a «Solaria» per la stampa dei primi racconti o saggi… Nulla ho mai «introitato» per diritti d’autore”.
Si conferma che l’editoria è un investimento. Ma dell’autore. Di tempo, fatiche e anche soldi. Scrivere è quindi una passione, bella e brutta come tutte, serena e limacciosa, avvincente e deprimente.  L’editore è un gabelliere, a volte un bandito di passo. A volte intelligente, uno che fa crescere il capitale. L’editoria online, a spese zero, a parte la scrittura, beneficia per questo di tante speranze, non perché “il libro non costa nulla e si risparmia la carta”. In Francia e negli Usa il libro “non costa nulla”, e la carta si ricicla.

Kierkegaard – Nessuna celebrazione, nessuna riedizione o ritraduzione, nessuno studio su Kierkegaard per il bicentenario della nascita qualche mese fa. È una forma di “Ripresa”, il suo saggio del 1847, sulla ripetizione che non è ripetizione – il nucleo di Borges? Lui si sarebbe divertito moltissimo.

Manzoni – Gadda che, sii sa, gli fu sempre fedelissimo, dice di avere “letto dieci volte i P.S. da ragazzo, fra i 9 e i 16”. Lo scive a Citati, proponendo di difendere Manzoni dai “giudizi di Moravia, un po’ montati a freddo, questi, nel loro disceverativo e rigido sistematismo antilombardo, antivattekapèsca” - ne scriverà poi estesamente, dandosi l’arduo compito di confutare l’addebito di “realismo cattolico”.
Proust – Per il centenario del primo volume della “Ricerca”, fra due mesi, si va alla ricerca anche di un Proust “giallo”. Qualcuno lo trova nella “Prigioniera”: lo spionaggio della gelosia. Non c’è rimedio?

Albertine-Alfred, rileggendo l’opera nel suo farsi, nelle riscritture radicali di Proust, si collega all’abbandono e poi alla morte di Alfred Agostinelli. Così come la riprogettazione di tutta la “Ricerca”. Sembra azzardato ma non lo è, Compagnon lo doimostra agevolmente nel corso 2012-2013 al Colège de France:
Agostinelli, autista di Proust a Cabourg, poi suo segretario, se ne va l’1 dicembre 1913, subito dopo il successo un po’ a sorpresa di “Dalla parte di Swann”, e a maggio muore in un incidente. La ristrutturazione dell’intera “Ricerca” Compagnon riporta al successo, di scandalo più che critico, del primo volume, ma anche dell’abbandono e alla morte di Agostinelli. Nel precedente progetto non c’è nessuna traccia della “Prigioniera” né della “Fuggitiva o Albertine scomparsa”.

Sovietismo – C’è di più, si vede in libreria, sui giornali, ora col mercato imperante, e per effetto del mercato, che col neo realismo di prima del Muro, che si esercitava invece con vergogna e quasi per dovere. C’è anzi soprattutto in letteratura, più che nelle istituzioni. Nel “mercato delle parole”: il giornalismo e la narrativa (la critica è scomparsa). Dove si codificano e impongono – è il mercato – linguaggi e tematiche. Non c’è mai stato tanto neo realismo – corrività nelle disgrazie, il procedimento per accumulo, il bruto-buono e l’eroe-cattivo – come dopo il Muro. Prima c’erano altri narratori, Soldati, Berto, Chiara, eccetera. Ora temi e svolgimenti sono dettati dall’attualità, nel verso del politicamente corretto. Compresa la stessa attualità letteraria, l’ultimo successo di mercato.
Non c’è in realtà nella letteratura perché la critica è scomparsa – c’è nella narrativa. E si può dire scomparsa perché il cosiddetto pensiero unico l’ha declassata e svuotata: non c’è spazio per la critica letteraria e non ce n’è bisogno. Il prodotto è indiscutibile.

Tomasi di Lampedusa – L’unica gloria palermitana. Con Giovanni Meli, al più. Palermo non ha scrittori di fama, che abbiano lasciato una traccia. Catania sì: Domenico Tempio, Verga, Capuana, De Roberto, Martoglio, Brancati. Agrigento pure: Pirandello, Sciascia, Bufalino (per estensione, come fa Sironi con i film di Montalbano), Camilleri. Anche Messina fa più di Palermo: D’Arrigo, Consolo, Lucio Piccolo.

Verecondia - Gadda la proponeva per un saggio a Luciano Anceschi per la rivista “Il Verri”, nel 1960, lamentando che essa sia pretesa dallo scrittore e dall’artista mentre l’Impudicizia può liberamente esibirsi. E ancora con differenze fra lo scrittore e l’artista: “Un cavolo dipinto è tollerato, un cavolo descritto è impensabile. Il nudo vivo e vivente, il nudo maschile e femminile sulle spiagge d’Italia (3.500 km.) non offende quanto il nudo scritto”. Ma la Verecondia, ghigna, è inapplicabile: “Contraddizioni in termini: volere e disvolere: la letteratura non è stata sempre una letteratura per cresimande nel passato. Lo potrà essere nel futuro, se la Verecondia avrà battuto l’Impudicizia”. Per concludere sprezzante: “Il lettore che vorrà chiamarsi Verecondo dovrà dedicarsi alla matematica, alla musica pura e strumentale e alla pesca subaquea (senza c), astenendosi dall’atletica leggera”. La c potrebbe disturbare la Verecondia.
Ma è “la” materia dei “Promessi sposi”, da Gadda veneratissimi. 

letterautore@antiit.eu

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