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sabato 10 febbraio 2018

Machiavelli pagano e fortunato

Machiavelli non si deve giustificare. “Il principio fondamentale della politica di Machiavelli – e a parer nostro di ogni dottrina dello Stato che venga in chiaro con se stessa -  è contenuta nelle seguenti parole: «È necessario a chi dispone una Repubblica (o, in generale, uno Stato), e ordina legge in quella, presupporre tutti gli uomini essere cattivi». Non serve a nulla “dedicarsi a stabilire se gli esseri umani siano effettivamente fatti come dice questo passo. Quello che conta è che lo Stato, in quanto istituto coercitivo, li presupponga necessariamente costituiti come tali. Questo unico presupposto motiva l’esistenza dello Stato”. Col diritto, anche penale: “Lo Stato come istituto coercitivo presuppone la guerra di tutti contro tutti”.
Sono pagine, dice Fichte presentandole, “destinate a contribuire alla riabilitazione di un uomo dabbene”, grande scrittore, patriota fervente, esperto delle arti della politica e delle armi, funzionario integerrimo – aveva lavorato per lo Stato “in incarichi straordinari” ma “morì in quella povertà che egli aveva sempre vantato come il tratto più onorevole di una repubblica”. Fichte, autoesiliato a Königsberg per non sottostare all’occupazione francese dopo Jena nel 1806, rilegge Machiavelli, da buon italianista, per la comune passione per la patria perduta,  ne traduce un’antologia, e la commenta, dopo un ampio saggio introduttivo. Brani di Machiavelli ripubblicherà due anni dopo in cima ai “Discorsi alla nazione tedesca”. Un Machiavelli in chiave antifrancese, il suo, ma pieno di intelligenza.
Non un’agiografia. Machiavelli è un non-filosofo della storia e della politica. Di “limitatezza morale”. E di “conseguente povertà di linguaggio – una colpa che condivide con tutta la sua epoca”. Ma, per “la verità effettuale della cosa” come dice, studioso “aderente alla vita concreta e alla storia”. Il suo scopo è portare stabilità, la spiegazione più plausibile, seppure banale: c’è Cesare Borgia? teniamocelo! Da teorico di prim’ordine della politica e della guerra. Meritevole di attenzioni e di pagine importanti, dapprima sulla “fortuna”..
La fortuna (Glück) è capacità. Machiavelli, dice Fichte, non la intende come caso bensì come capacità di capire il corso degli eventi e possibilmente dominarli, in riguardo alla situazione presente, di sé e degli eventi, e dei contesti storici. Sulla fortuna in Machiavelli Fichte ritorna nel commento al passo specifico del “Principe”, uno di quelli da lui antologizzati. È “agisci come se non esistesse un Dio che possa aiutari, bensì come se dovesi fare tutto da solo”. Fortuna è fede: “Questa fede, e la vita in questa fede, sono la fortuna autentica”. Il contrario ne è la prova: “In linea generale è possibile ammettere come regola, confermata dalla vita stessa e dalla storia, secondo la quale, quanto più indecisa, codarda, neghittosa e debole è l’esistenza di singoli e di intere epoche, quanto più è preda dei suoi sogni e spenta per una vita nuova,, tanto più è portata a credere alla sfortuna e a un fato oscuro”.
Una lettura semplice, eppure introspettiva e armonica col personaggio Machiavelli - Fichte scarta pure la solita citazione d’uso: “La Fortuna è donna, ed è necessario, volendola tener sotto, batterla ed urtarla”. Straordinaria anche la lettura del “paganesimo”, di Machiavelli e del Cinquecento - “allo stesso modo dei papi, dei cardinali e di tutti gli uomini valenti della sua epoca”. Per una ragione che risponde alla situazione personale dello stesso Fichte, compresa la sua militanza massonica, ma sottile: “Il paganesimo nasce dal seno stesso del cristianesimo in quegli uomini a cui questa religione è stata servita dall’esterno”. Noncuranti dell’aldilà, essi foggiano “quella disposizione spirituale prometeica” che è “il paganesimo moderno”. Purché sorretto, beninteso, da “un carattere onesto, retto e rude”, e da una coscienza o cultura “classica”, radicata nella tradizione. Di cui è parte il cristianesimo. “Machiavelli fu un uomo di questo genere. Questa è la causa evidente dei suoi errori, delle sue virtù, della sua limitatezza, così come della sua apertura priva di riguardo”. Volle morire con tuti i sacramenti (“cosa che fu senza dubbio utile sia per i figli, sia per gli scritti che lasciava”), ma “contro il cristianesimo egli manifesta un’indignazione a volte sublime”. Di un “ateismo geniale”: “Nelle commedie, e nella «Vita di Castruccio Castracani», si riscontrano i tratti di un’autentica sfrenatezza pagana e di un ateismo geniale”.
Con Fichte dopo Herder e Federico II di Prussia, e poi con Carl Schmitt, quindi non solo in chiave massonica, Machiavelli ha goduto in Germania di buona fortuna. Senza dirlo, Fichte, rilegge Machiavelli alla luce dell’“Anti-Machiavelli” di Federivo II di Prussia settant’anni prima, della critica del “machiavellismo” da parte di chi lo praticava senza scrupoli - la traccia è la stessa del pamphlet regale e, fino a un certo punto, voltairiano..
Johann Gottlieb Fichte, Machiavelli scrittore, Castelvecchi, remainders, pp. 115 € 6

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