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domenica 4 febbraio 2018

Brexit a Roma

Sfilano a centinaia, a migliaia, nel primo pomeriggio, su per viale Tiziano, per il lungotevere Flaminio, verso lo stadio Olimpico dove si giocherà il Sei Nazioni di rugby Italia-Inghilterra. Sono tifosi  inglesi, maschi e femmine ugualmente. Quaranta, cinquantenni per lo più, con la maglia bianca O2 della Nazionale, robusti, non belli, non curati. Nemmeno entusiasti o curiosi. I musei di Roma sono aperti oggi gratis anche prr loro, ma non si sono per questo riempiti. È una bellissima giornata, anche tiepida, ma non sembrano avere occhi per il sole. È un tranquillo week-end, uno come un altro, per le strade di Roma invece che nel cortile di casa.  Da middle-class suburbana, le masse anonime rassegnate, tra la vecchia Inghilterra agreste di Barnaby e il postmodernismo metropolitano.
Niente di bellicoso, nemmeno. Sono a Roma come fossero a Newcastle, o a Bournemouth. Nemmeno di altero: sciamano tranquilli, a piedi – risparmiano pure l’euro  mezzo dell’ottimo tram n. 2, che li condurebbe in pochi minuti con poche fermate allo stadio. Vanno senza eccitazione forse perché la partita è scontata, Italia-Inghilterra di rugby è un po’ Benevento-Napoli, l’Italia non ha mai vinto e non se lo sogna nemmeno.
Niente di metropolitano: si vede in questi venticinque-trentamila inglesi in gita a Roma il nerbo della grande provincia. Sono loro, viene da pensare, il nerbo della Brexit. Che ha vinto per il 52 per cento, praticate uno su due. Ma grazie al due su tre, e forse tre quattro della provincia, l’Inghilterra “profonda”. Gente pacifica, il tipo anzi si direbbe romanesco, non fosse per la lingua si direbbero famiglie romane della domenica postprandiali, un po’ grevi ma niente di più, e bonari. Non hanno votato contro per malanimo, non mostrano in nessun senso corruccio. Si saranno stancati. Ma chi non si direbbe stanco, potendo dire sì o no, dell’Europa, di Schaüble, di Weidmann, arcigna, quando non è cattiva?

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