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mercoledì 7 febbraio 2018

Il lavoro elastico

Lavorare di più, fino a 40 ore settimanali senza straordinari, e lavorare di meno, fino a 28 ore settimanali, senza integrazione di salario ma godendo fino a sei giorni di ferie pagate in più. Di meno per esigenze familiari, di più per esigenze produttive. La riduzione è disegnata per trattenere al lavoro le donne, le più esposte alle “esigenze familiari” (accudimento, di minori o anziani, assistenza, etc.), ed è possibile per un periodo minimo di sei mesi – per le esigenze organizzative della produzione. L’aumento dell’orario va su richiesta della produzione.
È un altro aspetto della liberalizzazione del lavoro: si flessibilizza il lavoro stabilizzato a tempo indeterminato. Il sindacato dei metalmeccanici tedeschi, IG Metall, ha accettato la flessibilità del lavoro in fabbrica che in Europa l’industria persegue da molto tempo. In un prospettiva che definisce del “lavoro liberato”, flessibile cioè in base alle esigenze del lavoratore. Di fatto, però, più per esigenze di produzione.
Il patronato tedesco si è anche dato l’obiettivo, per bocca del suo presidente Ingo Kramer, di migliorare fuori azienda l’assistenza ai bambini e agli anziani, per permettere alle donne di lavorare. E pubblicizza molto la scelta lasciata dal Deutsche Bahn, le ferrovie tedesche, ai dipendenti, tra un aumento salariale del 2,6 per cento, la riduzione dell’orario di lavoro, o una settimana (sei giorni) di ferie in più, che avrebbe visto la stragrande maggioranza, il 56 per cento, optare per le ferie. Di fatto, c’è un doppio mercato del lavoro in Germania, che ha da una parte un picco ipergarntito e dall’altra una larga fascia lasciata all’assistenza pubblica.
È il sindacato che è flessibile in Germania – IG Metall è il sindacato più importante. Che accetta anche un aumento salariale irrisorio. Nominalmente del 4,3 per cento, di fatto, per ii prossimi dodici mesi, a marzo 2019, del 3,35 per cento – del 2,2 esteso a tutti i salari coperti da questo tipo di contrattazione. Con un aumento contenuto del costo del lavoro per unità di prodotto, dell’1,5 per cento – meno del 2 per cento che è il target della Bce (un massimo che è anche un minmo, per rivitalizzare l’economia europea).

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