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lunedì 5 febbraio 2018

L’industria della paura

“La pubblicità ordina di comprare e l’economia invece lo impedisce”. Un libro vecchio di vent’anni che potrebbe essere stato scritto oggi, nulla è cambiato. Già allora il mondo era in preda alla paura. Il mondo libero e felice di esserlo, pieno di sé. Che però moltiplica l’insicurezza: la globalizzazione si può dire dell’insicurezza (c’è anche una “industria della paura”). Col lavoro precario, a paghe decrescenti. E un’ecologia beniamina delle industrie dell’inquinamento - Westinghouse vende centrali nucelari e dispositivi per il trattamento delle scorie, chi vende mine vende anche i dispositivi per la bonifica. “Gli Stati Uniti e il Canada avevano nel 1995 più veicoli a quattro ruote della somma di tutto il resto del mondo, eccezion fatta per l’Europa. La Germania quell’anno aveva tante automobili, camion, furgoni, roulotte e motociclette  quanti erano i veicoli di tutti quanti i paesi dell’America Latina e dell’Africa”.
C’è anche in anteprima la guerra all’Irak, che si farà quattro anni dopo con la scusa dll’11 settembre. Nel 1991 ci fu la guerra del Golfo. “Pochi anni dopo, nel 1998, gli Stati Uniti volevano ripetere l’impresa. L’immensa macchina della comunicazione si mise di nuovo al servizio dell’immensa macchina militare, per convincere il mondo che l’Irak stesse minacciando l’umanità Questa volta toccò alle armi chimiche. Anni prima, Saddam Hussein aveva usato gas mortali nordamericani  contro l’Iran, e con quesi gas aveva distrutto i curdi senza che nessuno si alterasse” – l’opinione pubblica è catatonica. “Ma imediatamnete il panico dilagò quado fu diffusa la notizia che l’Irak possedeva un arsenale batteriolgioco, antrace, peste bubbonica, botulismo, cellule cancerogene e altri letali agenti patogeni che negli Stati Uniti qualsiasi laboratorio può comprare, per telefono o per posta, dall’American Type Cuture Collection (Atcc), sita nelle vicinanze di Washington”.
Un bilancio e un check-up da Fine Secolo. Concluso con Woody Allen: “Dio è morto, Marx è morto, e anch’io non mi sento bene”: “Il Ventesimo secolo è nato sotto il segno della rivoluzione e muore nello sconforto” – il Millennio seguita. Radicale: un’abominazione dell’esistente, o ordine del mondo. Eccessivo – “nel mondo più morti di fame ogni giorno che in guerra”. Ma non senza pezze: la storia dell’Ambrosiano, il “il più grande crac  bancario” del secondo Novecento, messa a nudo e nel conetsto mondiale, è incredibilmente vera, ruotando sul Vaticano, di cui Calvi e Sindona erano le pedine. La frattura è sempre più ampia e profonda tra ricchi e poveri – il terzomondismo è declassato, di cui lo scrittore uruguaiano morto quattro anni fa era animatore, ma il Terzo mondo cresce e impoverisce.
Con “punti di vista” paradossali, ma non del tutto. “Dal punto di vita di Ippocrate, Galeno, Maimonide e Paracelso, esisteva una malattia chiamata indigestione ma non esisteva una malattia chiamata fame”. O per gli indios che scopriva, Colombo drappeggiato “era un pappagallo di dimensioni mai viste” – e parlava pure.
Il mondo sottosopra, alla Alice. Tristemente divertente. Sotto un esergo mozzafiato, di Al Capone  che predica contro i corrotti. Animato da miriadi di diavoletti di José Guadalupe Posada, l’incisore messicano del secondo Ottocento. Dedicato a santa Rita, “patrona delle cose impossibili”.

Eduardo Galeano, A testa in giù, Sperling & Kupfer, pp. 384, ill. € 14,50


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