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venerdì 9 febbraio 2018

La bufala solare

Si sgonfia il boom del solare anche negli Stati Uniti: il fotovoltaico ha ridotto l’occupazione nel 2017 di almeno 10 mila posti. Mentre in Germania è sceso il sipario su tutto il settore, col fallimento di Solarworld, tremila dipendenti. L’ultimo di una dozzina di altri gruppi di medio grandi dimensioni, falliti o in crisi. Un comparto che nel 2010 capitalizzava sui 25 miliardi ora ne vale uno.
La riduzione dei contributi pubblici, sia negli Stati americani del Sud che in Germania, a bilanciamento della riduzone dei costi d’impianto, ha portato a una contrazione radicale dei nuovi impianti. In Germania la potenza addizionale di fotovoltaico nel 2017 è stata inferiore a un gigawatt, a fronte di incrementi annuali di 6-7 gigawatt a cavaliere del 2010. La produzione di pannelli, ridotta, è da tempo fuori mercato per la concorrenza imbattibile della Cina – i pannelli contano per il 60 per cento del costo di una centrale solare.
Si investiva in contributi pubblici? Ma i due fatti sono correlati: il fotovoltaico cinese è doppiamente incentivato, in patria come in Europa e in America. E può contare su costi del lavoro e dell’elettricità molto più bassi – l’elettricità in Cina è per il 90 per cento basata sul carbone.
Contro la concorrenza cinese la Commissione europea ha imposto al 2013 una serie di tariffe. Da applicarsi anche alle centrali assemblate in altri paesi usando celle cinesi. Ma la Cina è più abile: l’80 per cento dei nuovi moduli installati in Germania proviene dall’Asia. 

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