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venerdì 9 febbraio 2018

Il resistente di casa Bertolucci

Un racconto dimenticato di uno scrittore che non è mai stato tale – non aveva l’onore di dirsi scrittore. Il racconto forse più veritiero della Resistenza. Scritto da uno che l’ha fatta senza pensare di farne il racconto – non Fenoglio, non Calvino.
Ubaldo era giornalista al “Giorno” -  cronista in subordine, mai in servizio di “prima”. Famiglio a Roma dei Bertolucci. Ne era familiare per ragioni tribali, e anzi un po’ famulo, ma non  sicuro di esserne ricambiato, i patti agrari erano gonfi di doveri reciproci. Ne parlava con malcelata distrazione. Anche lui aveva partecipato al film dello scannamento del porco. Ne parlava ma non volentieri. Di Attilio aveva rispetto, come padre, sarà stato lui a introdurlo al “Giorno”, benché il giornale fosse pieno di parmigiani, e alla editrice Einaudi. Era del resto per Stalin contro gli americani che impongono le bombe, la droga, la mafia, e lo avrebbe voluto risuscitato in piazza San Pietro, a insegnare la religione, insieme col papa, alla gioventù loffia del movimento.
Ubaldo, la Quarantottesima, è stato veramente in montagna. Ma non ne ha ricordi. Non grati. Da raccontare ha solo il maggiore Stevens, che appariva la notte teatrale nel mantello, dopo i lanci, per dividere le armi, le radio e i soldi, e la voglia d’amare delle donne – se non lo ha modellato sul fantomatico colonnello omonimo di radio Londra. Uno che si commenta senza illusioni: “Più di tutto le eccita il pericolo che l’uomo corre”.
Ubaldo Bertoli, La Quarantottesima

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