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lunedì 6 marzo 2023

L’ombra del carcere oscurò la musica

Il titolo è di un film di Antonio Pietrangeli, anni 1950, prima della “Dolce vita”, un film molto turistico (tra gli sceneggiatori Dario Fo). Autore della colonna sonora, con la canzone del titolo, è Lelio Luttazzi, il personaggio del docufilm. Pianista jazz, autore di canzoni swing, e anche di “Una zebra a pois” per Mina, cantante, intrattenitore. E molto triestino, in tutto, affetti, amicizie, ricordi, canzoni. Un artista-non-artista, creativo ma equilibrato, e felice. Finché non viene incarcerato, per sbaglio, per detenzione e spaccio di cocaina. Starà in carcere un mese, meno, ma basta a distruggerlo.
Verdelli lo rappresenta nella sua integrità, di triestino, artista, manager musicale (creatore e direttore di orchestre, produttore discografico). Ma, non fosse che per le testimonianze della moglie e della figlia, la vicenda giudiziaria prende nello spettatore il sopravvento sul personaggio: l’italiano teme la giustizia.
La carcerazione non fu la fine – a differenza di un altro caso celebre, Enzo Tortora. Luttazzi pure fu estromesso dalla Rai, dove aveva programmi popolari, e dal cinema. Ma per poco. Si rifece con un romanzo, “Operazione Montecristo”, su cui Alberto Sordi imbastì un film di successo, “Detenuto in attesa di giudizio”, e con un film, entrambi autobiografici, “L’illazione”. Il film fu un flop, ma Luttazzi riprese anche l’attività in Rai, nel mondo della canzone, e i concerti jazz. E niente, il filo non fu riallacciato: vivrà da allora in poi, per altri quarant’anni, non in pace con se stesso. L’anno primi di morire, nel 2009, va a Sanremo, e accompagna al piano Arisa in “Sincerità”, tiene un concerto in piazza dell’Unità a Trieste per Ferragosto, è ripreso da Pupi Avati in un film documentario. E niente: l’ombra del carcere non si dissipa, anche nel film.
Giorgio Verdelli, Souvenir d’Italie, Rai 3, Raiplay

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