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sabato 29 marzo 2014

Secondi pensieri - 170

zeulig

Coincidenze – “Sembra incredibile che Kierkegaard e Marx siano nati il medesimo giorno, il 5 maggio; il danese 200 anni or sono, un paio di settimane prima di Richard Wagner, con cui condivise una profonda passione per il Don Giovanni di Mozart”, Marino Freschi si diverte a sottolineare le coincidenze, con borgesiana inquietudine, trattandosi dei fondamenti della contemporaneità. Borges ha fatto delle coincidenze un’arte (un espediente narrativo) e anche la filosofia, anzi una teologia. Le coincidenze sono casuali: imprevedibili e, le più, insignificanti. E tuttavia sono “indicative”, parte quindi del linguaggio: hanno una pregnanza, che non è solo l’eccezionalità (una sfida al calcolo delle probabilità, come la “smorfia” al lotto). Sono un riconoscimento. Più ferace, meno pretestuoso, dell’agnizione, o della sparizione. Come la temperie, che anch’essa è fatto sfuggente, e tuttavia reale. 

Geografia Si scopre Benidorm “New York del mediterraneo”. Un centinaio di grattacieli che guardano uno spicchio di mare sulla costa catalana, di mini appartamenti per turisti e pensionati del Nord Europa, dove si favoleggiava un posto remoto - un Tiburtino Terzo a mare. Ricordo d’infanzia, di “Calabuig”, il film di Berlanga  del 1956 – il dolcissimo passo d’addio di Edmund Gwenn, con Valentina Cortese, Juan Calvo e Franco Fabrizi. Sulla vita semplice di un paese di pescatori, dove un vecchio scienziato atomico si è rifugiato oppresso dai sensi di colpa. Per essere infine scoperto - e “risequestrato” da un’intera flotta, proveniente forse da Benidorm – per le foto degli eccezionali fuochi d’artificio di cui, forte della sua scienza, ha voluto omaggiare i recenti compaesani. Già la geografia economica disconnette o manda in tilt la memoria, la tradizione.
Non irrilevante, peraltro, per la storia. Per esempio in questa epoca di crisi economica: la cementificazione del litorale è stata fatta con grandi sprechi delle banche tedesche, che poi noi abbiamo pagato, per la pensioni dei popoli germanici.

Heidegger – Ha fatto la filosofia dei sentimenti, i desideri e le passioni, nell’aridità emotiva: uno che non ha amato mai nessuno. Molte lettere ha scritto, a molte donne. Che solo concupiva, a letto. Ultimativo, violento, di cui non si conosce una confidenza con la moglie di una vita, a parte la complicità nel non detto. Mai un’affettuosità per i figli che in casa con lui crescevano. Di cui uno peraltro non era suo, pur in costanza di matrimonio: mai nemmeno un rifiuto, solo indifferenza.

Oltre che nazista si conferma antisemita - nei quaderni che ha voluto postumi a 50 anni. Pregiudizio che nascose più degli altri, specie con Hannah Arendt, sua salvatrice nel dopoguerra, letteralmente, nella considerazione e negli studi oltre che nella piccola carriera di posti e pensioni, dopo esserne stata l’amante giovanissima seppure non più vergine. Come Wagner - che però forse non sarebbe stato nazista. Sono antisemiti i due pilastri dell’intellettualità ebraica, che ad essi non saprebbe rinunciare, e anzi li magnifica malgrado tutto. Bisogna “liberare” l’antisemitismo?

È storico della non-storia. Che dice Heidegger? Il comune essere storico è uno smarrimento di sé nell’ambito di ciò che è storico: la non-storia. Un tale smarrimento del nostro essere è necessario alla storia. L’essere storico è una costante sempre nuova scelta tra la non-storia e la storia nella quale siamo. Entrare nella storia non significa entrare nel passato. Se un popolo entra nella storia, entra nel futuro. Se esce dalla storia non ha più futuro. Esso entra nella storia (passato) nella misura in cui esce dalla storia (futuro). La possibilità di accesso alla storia si fonda sulla possibilità che un presente sappia sempre essere-per-il-futuro. Ciò che “ha una storia” è coinvolto nel divenire. È nell’essere-per-l’avvenire che l’esserci è il passato.
Lo dice e lo ripete: “La possibilità di accedere alla storia si fonda sulla possibilità che un presente sappia essere di volta in volta futuro”. È a partire dal presente che si fa entrare nel conto il passato, e in vista di ciò che è presente. È per esso che si pianifica il futuro: “Quando girano le eliche di un velivolo non accade propriamente nulla. Ma se il velivolo porta Hitler da Mussolini, allora accade la storia. Il volo diventa storia. La storia è cosa rara” – c’è nel Burney un Mr Heidegger a Londra: cantante d’opera?
“Lena e Leonce”, sgraziato titolo dell’ottimo Büchner, dà per ultimo la ricetta giusta: “Ci stenderemo all’ombra e pregheremo Dio di darci maccheroni, meloni e fichi, ugole melodiose, corpi classicamente modellati e una religione comoda”. Heidegger, che sembrava aver liquidato la vicenda con l’inevitabile tributo tribale, “la storicità autentica è l’essere-per-la-morte”, in lungo e in largo vuole altrimenti: “La storia è il tratto specifico dell’uomo? Pure i negri sono uomini, ma non hanno una storia. Anche la natura ha la sua storia? Ma allora anche i negri hanno una storia. Non tutto ciò che trascorre entra nella storia”. Per il demonismo del profeta. O connesso alla H, cui si devono pure Hitler e la Bomba.

Online – La “rete” è breve, nelle chat, le mail, i messaggi, gli stessi blog, dev’essere brevissima, e questo la connota come un limite. Per contagio dalla messaggistica cellulare, in parallelo con la quale è nata e si è sviluppata. E per il “mezzo”, l’elettronica a impulso immediato. Con lo schermo ridotto, sempre più, ora alla dimensione smartphone. Dev’essere quindi paradossale, epigrammatica, furba, e non ragionevole – consequenziale, deduttiva. Il più versatile dei “mezzi”, il kindle, non dà ancora l’impressione di “possedere” il testo che si legge, come la dà il cartaceo.
La grafica dei giornali online, che concentra la lettura in poche righe, va incontro a questa esigenza di rapidità. Ma senza esaurirla, e con un netto senso di perdita. La rapidità, al contrario della lentezza, mangia se stessa invece di nutrirsi.
Forse la comunicazione online non può essere che rapida, il vecchio flash di agenzia. E quindi con uno scopo limitato: l’anticipazione, l’annuncio, la suggestione. Lasciando invece il “testo” alla conversazione, alla scrittura.

Suicidio - Il suicida di Borges è molto peno di sé, che dice: “Lascio il nulla a nessuno”. Pavese invece i suicidi dice “omicidi timidi”, masochisti più che sadici, cui mai difetta una ragione per uccidersi. Che sembra una bizzarria, e lo è: Emma Bovary ne è il modello, benché per uccidersi scelga il cafarnao, scortata dal commesso, e si ingozzi d’arsenico ma di quello per i topi, per un’agonia lenta che porti al suo capezzale tutti i colpevoli, dopo aver scritto: “Non s’accusi nessuno”. Pavese s’innamorava delle donne che irritava, la bella Tina Pizzardo, Fernanda Pivano, che ha dovuto censurarne le lettere, Constance Dowling. Sarà stata dura con Fernanda, che allora traduceva Jeanne Hersch, ma è dura sempre con chi non ti vuole, il sentimento vuol essere caldo. Solo col Buddha delle origini del resto non si fa: “Chi prende l’estinzione come estinzione, e presa l’estinzione come estinzione pensa all’estinzione, pensa sulla estinzione, pensa «mia è l’estinzione» e si rallegra dell’estinzione, costui, io dico, non conosce l’estinzione”. Checché voglia dire.

La Colpa è in realtà di tutti, tedeschi e non, per essere morti dentro, la “colpa metafisica” di Jaspers non è tanto metafisica. Personalmente il suicida può pensare, come John Donne in un momento brutto per la carriera: “Possiedo le chiavi della mia prigione”. Scriverci sopra, anche, un trattato, come il decano di Saint Paul – un Biathanatos che non è una morte doppia ma una sorta di morte vissuta: “Questo peccato non è irremissibile”. Ma non è questione di peccato, nessuno lo crede più, neanche la chiesa. I deportati si uccidono per non poter essere come gli altri, chi li ha deportati, chi ha assistito indifferente. Basta poco, a volte. Per Minosse i suicidi sono semi, che danno un albero. Non fosse che Dante, che di questa semina s’è appropriato, l’ha resa ostica in un incastro di ingiusto-giusto, e di doppio senso del disdegno, tra onore e disonore.
Certo è che il suicidio inizia con Werther, anzi col gesuita Robeck che l’anticipò con un’Exercitatio, ma c’era prima. Era usuale tra i cinesi in difficoltà, spiega Matteo Ricci. Sant’Agostino lo consiglia, e l’Ecclesiaste naturalmente: “Meglio la morte che una vita dura”. Viceversa, attesta la signora Angela Fusco di Napoli, alla quale era stato diagnosticato un tumore e per questo ha tentato tre volte invano il suicidio: “Sono resuscitata e felice”.

zeulig@antiit.eu

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