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domenica 17 gennaio 2016

Il mistico è omoerotico

“Silenzio. Solo un accenno. Chi ha bisogno di volumi di storie?” Invece il poeta, creatore della confraternita sufi dei dervisci rotanti, mistico e insieme magniloquente, fu lui stesso prolifico, per 52 mila versi almeno – ventimila solo per il “Mathnawí”, che i cultori dicono il più grande poema mistico dell’umanità. Di poesia intraducibile per molti aspetti, sonorità, cadenze, idiomatismi, e tanto meno da una lingua terza, ma concettualmente limpida: è l’amore che muove il mondo, è il mondo. “Il poeta sufi”, dice il curatore, “abita molti mondi simultaneamente, «mondi dentro mondi»”, e quindi va letto a molteplici livelli (significati). Ma a ogni livello s’incontra l’amore: terra e cielo, sole e luna, amante e amato: “Totalmente inatteso il mio ospite giunse.\ «Chi è?», chiese il mio cuore.\ «La faccia della luna», disse la mia anima”.
In queste due raccolte (il volumetto ricomprende anche “Le rovine del cuore”), curate in inglese da Kahir Edmund Helminsky, non c’è altro tema. Come in tutta la produzione del mistico Rúmí. Amore di Dio, ma impersonato in varie figure di “amati”, e qui soprattutto di Shams. Che è insieme “divino sole del mondo”, “l’amato di tutti gli amanti”, “il sole che muove le anime”, il “sole di tutte le conoscenze”, ma è anche Shams di Tabriz. Un “santo vagabondo” di cui Rúmí al primo apparire disse: “Il Dio che ho adorato per tutta la vita oggi mi è apparso in forma umana”. Con quale si ritirò, dice Helminsky, “in un isolamento che divenne leggendario”. Al punto da suscitare gelosie roventi, per le quali Shams si costrinse all’esilio. E quando tornò, dopo qualche anno, fu assassinato.
L’omoerotismo è complementare al misticismo, come non pensarci? Dei mistici e delle mistiche – anche se quella cristiane si vogliono spose del Cristo. Omoerotismo di altra specie, non quello sessuale che si esibisce oggi. Platonico, ma anche fisico, personalizzato.  
Altri mondi. Rúmí si stabilì, poetò e predico a Konya, nell’Asia Minore oggi Turchia, dove  i sufi mevlana, rotanti per inebriarsi, sono tuttora presenti, ma per il folklore. Veniva da Balkh, la Bactra di Alessandro Magno, che vi impalmò Roxana: la città capitale dello zoroastrismo, eguale di Ninive e Babilonia, ora cumulo di macerie nell’Afghanistan settentrionale al confine col Tagikistan, vicino Mazar i Sherif. Gialal ad-Din fu detto Rúmí perché l’Asia Minore era considerata “romana”, cioè greca, bizantina. Nella raccolta Helminsky include, traendolo dal “Mathnawí”, un poemetto su Maria che nessun mistico cristiano e cattolico eguaglia in intensità di fede.
Rúmí, L’amore è uno straniero, Astrolabio, pp. 135 € 10

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