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martedì 28 maggio 2019

NO DICE

Si è allontanato tirando la testa sotto l’ala del mantello. Nemmeno irritato. Levento è del resto senza storia, un contatto tra la gente che si affollava sulla scala per uscire e quella che l’ingombrava indecisa se affrontare la pioggerella. Una stretta al braccio, e la sua faccia semicalva, la faccia del vecchio direttore della “Voce”, che passa dal sorriso alla smorfia. Sera spiegato:
   - Ho confuso la sua voce con quella di un amico. - Devo averlo guardato male, non un'ombra di riconoscimento dalla sua parte, perché ha voluto essere preciso: - L'avevo confusa con quella di Tommaso. So che è morto, ma sentendola mi sono detto: “Non è vero, eccolo qua”. Mi scusi, sono un po’ scosso. Uno spera sempre. - E se n’è andato, palla beccheggiante sui piedini a punta, in direzione di villa Medici. La sua occupazione è visitare le mostre.    Conosco questi tipi, sono inossidabili, si commuovono a registro, per la morte dell’amico come per un quadro rustico di Charles Moulin, così come ansano sul culo sformato dalla sedia, ma restano agili, e più in forma di tutti.
    Conosco questo Tommaso, devo averne letto qualcosa, non ricordo che. La televisione ne mostrò la figura a punto interrogativo, in atto d’irridere Lacanotteri e altri invertebrati della psiche, la pelle stretta alle ossa robuste, il passo ferrigno celato nelle taglie di crescenza. Gli abiti contribuiscono, se grandi, al travaglio dello spirito. Con il baffetto a v nel mezzo faceva l’avventuriere in paletot. Un posatore. Uno che, avendo in uggia la vita che si è scelta - gli uomini se la scelgono, gli esseri umani, che sono Surrogatori (non Super-erogatori, strizzacervelli! Surrogatori): fondare il proprio mondo, che poi è la Storia, è la loro attività - le dà un tocco di romanticheria, con sapienti fotoritratto, che richiedono pose di minuti ripetute, e passioni inesistenti, qual è quella del gioco.
    Si dice del gioco che è pulsione indomabile. Qualcuno lo apparenta al sesso. E, forse involontariamente (per confondere sesso con amore, che in effetti è nostra inestricabile costrizione mentale), ci azzecca: il sesso brucia, quando c’è, ma può non esserci. Io l’ho provato a lungo, da ragazzo passavo notti intere al poker, avvelenato dal fumo e dalla grappa, e quando ho smesso ho smesso: semplicemente avevo trovato di meglio in quelle ore. È così di tutte le passioni. La passione è del genio, diceva Emily Dickinson, vedovile vergine del Connecticut, maestra del de-catesserasillabo:
Genius is the ignition of passion,
non intellect, as is supposed”.
Ma la maggior parte dei suoi significati nel dizionario sono di afflizione, fisica, evangelica, teatrale, musicale, morale. E Stendhal, che ne fu propagandista, era onanista. Non vale giocare se la voglia di vincere manca, anzi la perdita è certa. La mancanza è coltivata, concimata, amorevolmente consumata e ricomposta, per innesti a gemma sempre più sottili di mano ferma nella regione sottocorticale, ed è un repartee con la morte che per l’autore sarà gioco, per il lettore è lamento e tormento. Per Tommaso un’esibizione di dépense, di prodigalità, e di lutti in capo ai sarcasmi sul primitivismo e lo studio delle strutture. Da tempo Kant ha ristabilito il principio, qual era in antico, che le buone azioni sono spassionate.
Ho proposto io stesso di andare a vedere che c'era sotto. Partii da un articolo commemorativo di Oreste Del Buono, che una volta aveva incontrato l’autore, e con lui aveva discusso dell’inglese no dice invece del francese rien va. I luoghi dell’autore vi apparivano sereni: Arma di Taggia, Sanremo, Vico, Firenze - Roma anche, ma vi fu infelice. L’articolo era buonissimo: le riprese a memoria a distanza di anni sono sempre migliori degli articoli scritti a caldo. No dice è colpo nullo al gioco dei dadi. L’uomo è stato lavoratore di precisione, instancabile, poiché ha lasciato scritte alcune migliaia di pagine limatissime. Faticatore anche, avendo tradotto migliaia di pagine da lingue ostiche. Ma nessuno sa co-ùm'era. Ho provato a entrare nel personaggio. In quel misto di eccentricità e solitudine, quella che oggi si chiama crisi dell’identità, tragediografie vecchiotte alla Pirandello, perché lo scrittore, l’artista, deve esibire un che di diverso e di maledetto. Per saprofitismo, condizionamento ambientale: uno diventa quelli con cui si accompagna, oblomov da Giubbe Rosse. Il suo più sincero estimatore ne onorò la morte con la celebre citazione di Blok, tradotto peraltro da Poggioli:
“Perché al mondo che mai c’è di meglio
Del perder gli amici migliori?”.
Ma ci ho rinunciato. I suoi amici, anche i letterati, i suoi congiunti, ogni altro suo avente e dante causa sono probabilmente persone ordinarie, che vivono da persone ordinarie, con i problemi e la saggezza di tutti. Non morti a una vita precedente, non vivi in una futura, né oggi nelle spoglie di Gesù, e nemmeno dell'Imperatore. Forse è un caso di vita che imita la letteratura. Tale il carattere tale il discorso, dicevano i greci antichi, ma si può rovesciare: prigioniero del suo discorso. Ma poi gli italiani, che non amano la letteratura, vorrebbero viverla: la vita in metafora. La metafora, similitudine abbreviata, è inoffensiva, anzi economica. Ma è dire una cosa con un’altra. Tutto è immagine e desiderio di qualcos’altro, una deriva incessante (troppi ma, la logica è in difetto?). Per compiacere, forse. Per complesso d'inferiorità, avendo gli italiani perso come cattolici la modernità. O perché l’italiano è segno d’aria, sostiene Alvi, doppio quindi per legge astrale, maschera mista di maschere: astuzia, seduzione, vanteria, disperazione. La scienza contribuisce, se la quiete è solo un caso speciale di moto, e i linguaggi solo immagine. Ma la natura esiste. Sia pure una volta sola, come vuole l’economia del pensiero. E la deriva costante turba il labirinto.
I letterati, ha scritto qualche filosofo tedesco, hanno per missione di trarre dall’arte, che essi stessi non possono realizzare, lo spirito per la vita dell'epoca. Sono vati - Tommaso fu sedicesimo premio Gabriele D'Annunzio, dopo averne con furia frantumato le radici. Un vaso. Un uomo che è immagine, tutto e solo contorno. Non c’è carne, sotto quella silhouette, ma un vuoto che si trascina articolato. L’andatura di tre quarti lungo i muri, per timore degli spazi. Temono, queste persone, la cui tragedia è il coniuge, l’azienda, la scuola (gli allievi, i colleghi professori), il condominio, lo Stato, il marocchino al semaforo. E si consolano: dolce è la sconfitta. Non dissimulano, soffre anche la maschera. L'avventura è questa. Lo spazio è una convenzione, il tempo di sant’Agostino, l’immagine è luce, oppure ombra, la donna è l’immagine delle donne, vorace soggettiva, e i poveri sono ricchi, i ricchi sono poveri, il gioco è la vita. Surrogati succedono a surrogati, anche la retorica è iper. La notte è febbrilmente operosa per scacciare il vuoto reale, della natura. La carne è sterile nelle lettere. E si arriva al no dice.
Non ne ho scritto, infine, non me ne ricordo. Mi ha ammutolito. Era il suo ideale, la Muta - che forse era la moglie, ma muta diceva, “silenzio”, la musica di Mozart, e il silenzio “armonia di tutte le armonie”. Non c’è alternativa - a meno di non togliere il disturbo - quando non viene il male incurabile. E anche questa non sarebbe una storia, se non fosse che io non ho parlato, non parlo. Che cosa può aver sentito il vecchio direttore per confondermi con lo scrittore? Perché ho deciso di tacere? Tacere per sempre. Beh, è per dispetto di essere caduto nella trappola della metafora. Non c’è il gioco, non salva lo scherzo. La verità è dura, foss’anche il vuoto. Il vuoto esiste, checché ne pensino i fisici e i politici, il nulla. Si va al lavoro, si prendono i pasti, si legge il giornale, si fanno anche progetti e si vedono gli amici, ma nulla accade. Strana figura, il nulla che accade, ma così è.

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