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domenica 29 marzo 2020

Perché c’è qualcosa invece di niente

Un tema allettante: il “giallo” dell’esistenza. Non c’è risposta al quesito, benché l’indagine sia laboriosa, con molti testimoni, anche molto intelligenti. Ma bisogna saperlo. La “detective story filosofica” del sottotitolo si legge per questo, pur subodorando che il dénouement non ci sia, con soddisfazione – indigesto, impensabile, un giallo senza svolta finale, ma qui vale il criterio opposto: vediamo come tutti vanno a sbattere.
Il proposito è semplice: “Veloce dimostrazione del perché esiste qualcosa piuttosto che il nulla, per gente moderna e parecchio impegnata”. Veloce no, Holt interroga numerosi “esperti” o comunque cultori della materia. Per pagine molto lunghe a corpo minuto. Partendo da Leibinz, quello del “migliore dei mondi possibile” che tanto Voltaire si occupò di irridere, in “Candido” e non solo.
E dal presupposto: assurdo io, assurdo un universo senza spiegazioni. Scartando le “cause finali”, che portano sempre “a pessimi esiti” – quelle che facevano ridere Voltaire, del tipo “perché piove?” “per far crescere le piante”, ma questo in primavera, e in autunno? Interpellando “filosofi,  teologi, fisici delle particelle, cosmologi, mistici, e perfino un grandissimo scrittore americano”, che è John Updike, ma anche fisici teorici, matematici, e moralisti, nonché le Scritture.
Il problema è recente. Prima, nella Bibbia, c’era il caso, non il nulla. Sono i primi padri della Chiesa che trovano più conveniente all’onnipotenza di Dio la creazione ex nihilo. Poi imitati dalla teologia islamica. E dal pensiero ebraico medievale - Maimonide. E resta un problema cristiano, da filosofi cristiani, Holt si fa spiegare da un arguto ateista, Adolf Grünbaum, “il più grande filosofo della scienza vivente” – ora morto, due anni fa: nonché la Bibbia, i greci e gli indiani non se lo pongono.
Heidegger lo ripropone, spiega Holt arguto, nel 1935, al corso accademico da rettore nazista di Friburgo, “sostenendo che «Perché vi è l’essente e non il nulla» è «la più vasta», «la più profonda» e «la più originaria» delle domande”. In realtà il corso estivo del 1935, che sarà poi pubblicato come “Introduzione alla metafisica”, è di oltre un anno dopo la “dimissione” di Heidegger da rettore.
Il libro riepiloga e spiega tutte le ipotesi storiche: “l’argomento cosmologico”, “l’argomento ontologico”, il “multiverso”, il “principio di fecondità”, etc. una casistica énaurme direbbe padre Ubu. Di passaggio Holt, saggista, esperto divulgatore di filosofia, per un periodo “Archilochus Jones” sul web, esplora e ripropone eventi e concetti sorprendenti o trascurati. L’avventura dello zero. Il gesuita di Lovanio che “inventò” il Big Bang nel 1927, Georges Lemaître. L’“insieme vuoto” -  l’insieme delle presidentesse americane. Ma non insegna nulla, la sua è piuttosto una passeggiata tra i divertimenti, seri, di fisici, filosofi, ontologi, teologi, eccetera, tutti quelli che sanno, e non  sanno perché. Però, forse è come dice Max Scheler, “il diplomatico e filosofo tedesco”: “Chi non abbia mai, per così dire, gettato lo sguardo nell’abisso del Nulla assoluto, finisce fatalmente col perdere di vista il carattere eminentemente positivo  della consapevolezza che esiste qualcosa, anziché il nulla”.
Con qualche pointe, qua e là, per alleggerire il mattone. Sartre è “Hegel al café Flore”. Oltre Reno, horresco referens”, c’è solo “il “farraginoso Heidegger” – si cita, di sfuggita. Contro il multiverso, in tutti i versi - anche quello che Woody Allen (sic!) confessa a una rivista cattolica. Stringhe comprese. Divertito con i “platonici”, Gödel (Escher), Thom, Feynman, Penrose, e per essi Leslie, con cui Holt dialoga a lungo. Gradevolissimo si manifesta da ultimo Updike, filosofo della domenica, studioso di Karl Barth, in un paio di romanzi (“La versione di Roger” è uno) e al telefono, e (forse) il più vicino alla cosa. Prescelto tra i luminari  per la formula della poesia “Midpoint”, 1969: COSCE = 1 / ANGOSCE, ma scelta non anomala, tanto per ingolosire il lettore fra tanto filosofame - lo scrittore è di sicuro il più chiaro, leggere per credere, quello che meglio ha presente e presenta il problema.
Uno degli autorevoli, simpatici, testimoni, Richard Swinburne da Oxford, anche lui epistemologo di rango, semplifica il problema: “Resta il fatto che un universo c’è, mentre potrebbe non esserci stato”. Holt non prende posizione. L’ultima sua parola è “all’apatia cosmica”.
La traduzione, di Luca Fusari, è un gran lavoro dinvenzione. 

Jim Holt, Perché il mondo esiste?, Utet, pp. 365 € 16

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