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lunedì 2 gennaio 2012

Il mondo com'è - 79

astolfo

Giustizia – Quella politica è per antonomasia fascista, assolutista. In Italia è invece da vent’anni di sinistra. Ambisce cioè a essere democratica. È una storia inedita e una brutta storia. È un cascame del sovietismo, una forma di assolutismo, per molti aspetti anche fascista, che s’è impadronito dell’Italia dopo la sua caduta nell’Unione Sovietica

Immunità parlamentare – Si vuole una protezione, è una tagliola: è la giustizia politica per definizione. Il parlamentare contro il quale le Camere, per motivi politici, spiccano l’autorizzazione a procedere è già condannato. In camera, senza dibattimento, senza prove. L’autorizzazione a procedere è una condanna. Dichiaratamente politica, non ammantata della sacralità di cui si ammanta la giustizia.
Il caso di Papa, parlamentare magistrato inviso ad altri magistrati, in una faida dichiarata, nella stessa città (Napoli) e nello stesso ufficio (Procura) che ne hanno voluto l’incrminazione (e che per questo sarà assolto quando si farà un vero giudizio in un dibattimento pubblico, non quelli falsi di gip, gup e riesami), è per questo aspetto evidente: Papa è stato già condannato con l’autorizzazione a procedere. Ha fatto già il carcere. E ha finito di vivere la sua vita. Senza l’autorizzazione, sarebbe un giudice in lite con altri giudici.

Islam – Più di ogni altra cultura politica resiste al modulo occidentale. Dell’uguaglianza, della libertà di opinione, dell’autonomia reciproca tra politica e religione (laicismo), del voto politico periodico e plurale, del rispetto delle minoranze. È per questo forse il mondo su cui l’Occidente ha concentrato la sua forza militare, con numerose guerre “umanitarie” o “per i diritti civili”.
Ma l’Occidente alterna la guerra con fantastiche illusioni di “primavere democratiche” in quello stesso mondo. A opera delle forze più dichiaratamente islamiche. L’Occidente pensa cioè di utilizzare l’islam per una democratizzazione delle masse islamiche. Sembra un proposito nobile, ma è (è stato finora e ha tutta l’aria di volerlo essere) un artificio per indebolire e disperdere le forze della modernizzazione, già all’opera con ottimi risultati nello stesso mondo islamico, sotto l’effetto massa.
L’islam era un fattore politico residuale in tutto il mondo arabo, nel subcontinente indiano e in Indonesia negli anni 1970. Gli Usa ne hanno fatto un fattore principale in Pakistan, negli anni della tentata sovietizzazione dell’Afghanistan, quindi in Iran, e in rapida successione poi ovunque se ne è presentata l’occasione, fino alla Turchia.

Italia – È un esercizio in masochismo, blando. Anche quando vince la Nazionale, è sempre per caso – mentre gli ultimi avversari ai grandi trofei, Francia e Germania, ancora si leccano le ferite. C’è una ragione? Evidentemente sì.
Galli della Loggia, “L’Italia contemporanea 1945-1975”, a cura di V.Castronovo, 1976, afferma alla p. 427: “Il nuovo e «moderno» universo antropologico dei ceti medi non ha alle sue spalle, riposto cioè nella società civile, alcun patrimonio di cultura, di tradizioni di libertà e di individualità che possa dirsi geneticamente capitalistico”. È possibile.
Il patrimonio c’è, ovviamente. Si può dirlo allora insufficiente. Ma non più vasto, a un censimento pro capite, è questo patrimonio nei feudi della democrazia, la Svizzera, gli Usa, la Gran Bretagna. Quello che alla borghesia manca in Italia è l’affermazione della sua superiorità etica, di fronte al populismo forte delle cosiddette subculture post-risorgimentali, la liberale, la cattolica, la socialista, la fascista, la comunista. Già Leopardi, nel Discorso” ha in più punti il tema, ripreso più volte, della “società stretta”, che manca all’Italia.

Ma lo stesso Galli della Loggia mostra di ricredersi. L’individualismo (borghesia, capitalismo) c’è. È un vizio? Resiste, nota Ernesto Galli della Loggia nel sorprendente “L’identità italiana”, il saggio con cui ha aperto la serie del Mulino dallo stesso nome, per “il formidabile potenziale individualizzante costituito dall’essere stata (l’Italia) a suo tempo la culla della latinità e dall'essere la sede storica del cristianesimo cattolico”.
Nonché dell’urbanizzazione. L’Italia è un paese di città. C'erano 7.721 comuni in Italia al momento dell’unità nel 1861, contro i 1.307 della Francia, che ha una superficie di poco inferiore al doppio dell'Italia. Un terzo dei centri urbani risale a epoca pre-medievale. Il ruolo della Chiesa è tipicamente “italiano”, notava Leopardi nello “Zibaldone”, per la parte che vi hanno uomini e lingua della penisola. E anche, aggiunge Galli Della Loggia, perché “è nella forma che esso prende in Italia che il cristianesimo sembra attingere un'irrepetibile quintessenzialità”. La città, centro unificante e stimolo della collettività, della società “civile”, è morta con lo Stato lontano e ingombrante, sbirresco.
Il familismo? Colpisce molto i sociologi anglo-sassoni - gli stessi che fra due ragazzi che procedevano sottobraccio vedevano turpi sodomie. Antropologi stanchi, poiché l’Italia non è latitudini inarrivabili, e non è incomunicabile. Anche Galli della Loggia ci crede, temperandolo con la propensione oligarchico-corporativa e l’individualismo radicato nell’ultra-bimillenario localismo.

Il libro italiano per eccellenza, “Cuore”, scritto da un socialista, magnifica e propone a esempio tute le tare del costume italiano prefascista, o protofascista. L’Italia continua a scrivere il libro “Cuore”, anche se non lo legge più: la Rai, tutta la tv, i giornali, i rotocalchi. Col risentimento. Quello della “Genealogia della morale” di Nietzsche, che è la bontà dei signori: la superiorità morale, e anche la magnanimità. Contro gli Usa, contro Berlusconi, contro i comunisti, e contro gli italiani.
“Ciò che è misantropico è falso”, scriveva il filosofo Alain a Simone Weil a proposito del suo saggio “Oppression et liberté”. Questa Italia che si nega è sempre la borghesia che si nega.
Sabino Cassese, in una presentazione del libro di Bidussa, “Siamo italiani” all’Ecole Normale Supérieure di Parigi, a fine novembre 2007 si soffermava su questa caratteristica: non c’è sfiducia “del Paese reale nel Paese legale, ma piuttosto l’inverso, sfiducia del Paese legale nel Paese reale, delle classi dirigenti verso la società”.
Un’osservazione cui bisogna fare una premessa: che in Italia da troppo tempo tutto è politica, e questa sfiducia è essa stessa causa del suo malessere. Il blateramento vuoto di una presunta classe dirigente, di tecnici e specialisti.
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Settanta – Sono il manierismo degli anni Sessanta. Artificiosi cioè. E oltranzisti. Sono la decade della droga, della violenza sessuale, etero e omosessuale, dell’oltranzismo verbale, della vilificazione di ogni conquista economica e sociale negli sterili “diritti”.

Tecnici – Una specialità italiana, della Repubblica. L’Italia non ha mai amato i partiti politici, ma più nella Repubblica. Sempre a opera degli stessi, i liberali, che al fondo sono anarchici – talvolta “repubblicani”, cioè del Pri, un partito, a volte radicali, da ultimo, come sembra, Democratici. I liberali “non esistono” in Italia, ma per questo si vogliono radicali: non si è mai abbastanza liberali né liberi. Da qui l’invocazione del tecnico della politica. Un equivoco, che si trasforma in fucina dell’antipartito, dell’antipolitica, dell’antidemocrazia.
È lo stesso equivoco della “società civile”, quella dell’“Italia paese di merda”. Che non ha alcun titolo per dirlo, volendosi essa ammanicata e superiore. Avida, in piccolo certo.
Il tecnico è la personificazione del governo platonico degli intellettuali. E dell’insofferenza di una storia senza stacchi. Senza cambiamento. Senza nemmeno processi o tagli netti nella guerra civile che pure c’è stata, solo vendette. Del trasformismo fin dall’inizio con Rattazzi. Di una liberazione che fu solo militare, opera degli Alleati. Di una Resistenza che politica e non militare, un adattamento alla sconfitta e all’8 settembre, e anzi accentuò i caratteri perversi, la vendetta, la faida, la violenza sregolata.

astolfo@antiit.eu

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