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giovedì 23 luglio 2015

Il labirinto donna

Una satura all’uso antico. La prima opera Alvaro ha inzeppato di tutto: la novella, il romanzo, l’autobiografia (il romanzo delle origini), la provincia e la metropoli, la campagna e la città, la fuga e il nostos, nostalgia e ritorno. C’è anche un tentativo di dramma borghese, dialogato. L’effetto è raffazzonato. Si vede in questa riedizione - l’ultima, ormai di vent’anni fa - che il curatore Natale Tedesco ha voluto quella originaria, del 1921-22, mentre lo stesso Alvaro era intervento dodici anni dopo a riscrivere il tutto, accorciandoolo di un terzo. Anche incongruente, e troppo parlato benché breve. Non ben raccontato. Perfino sbiadito, malgrado le insistenze – non ha fisionomia nemmeno il protagonista, incerto a partire dal nome, Babel o Babe. Pieno di umori sì, come sempre in Alvaro, forse strapieno.
Tante cose sono soprammesse. Appiccicate. Il filo è l’uomo della donna, fatto (disfatto) dalla donna: l’editore dice il protagonista “un giovane reduce meridionale”, e invece non è più giovane, è stato marito a lungo, con suocera e cognati, ed è vedovo, reduce dalla battaglia dei sessi -  ed è “uomo” nel senso non di essere umano ma di opposto alla donna, benché femministo. Quindi, benché ragioni molto e molto si riservi, per altri arcane riflessioni, è una larva, come personaggio e come uomo-marito-vedovo-amante. Fino a concludere, senza vergogna: “Purezza. Se vi fosse un poco di purezza, se io trovassi un po’ di purezza, sarei riscattato”.
Oppure si può prendere la lettura dall’altro capo, critico. Walter Mauro e Tedesco tengono l’opera in grande pregio: per le novità. Tedesco ci vede perfino, in anteprima, il tradimento degli intellettuali. Qui non è questione di intellettuali, non c’è nessun società sullo sfondo, è questione d perdigiorno. Ma le novità ci sono. Il dettaglismo di Proust, che Alvaro fu uno dei primi a leggere e il primo a tradurre. Insieme con la fenomenologia, dei sentimenti, di amore, di amicizia, dei loro contrari. E la Nuova Oggettività povera delle attuali scuole di scrittura: nomi falsi, situazioni avulse, personaggi disincarnati. C’è (poco) l’espressionismo, nel senso di mettere le viscere all’aria. C’è già l’incipiente – ora - post-femminismo. C’è molto l’uomo senza qualità, pirandelliano naturalmente, ma più vero di quello musiliano che sarà poi l’originale - l’uomo senza qualità è, dev’essere, un piccolo borghese, presuntuoso e confuso. E un anticipo di scuola dello sguardo. Ci sono fermenti europei, sempre vivi, di questo grande provinciale – il finale è il nostos, con le donne affacciate alle finestre curiose, “come tartarughe fuori dal guscio”, su fino alla “Stalla”, il palazzo abbandonato che è ora una discarica, a scrivere lettere all’amata che ha abbandonato: “Era come vedere i cenni di un muto che si sforzi di parlare”.
Un racconto enigmatico? Per un effetto d’incertezza che è il segno maggiore della sua “contemporaneità”.
Corrado Alvaro, L’uomo nel labirinto

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