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lunedì 3 febbraio 2014

Schumann era Jean Paul, in musica

Schumann, che fu indotto a fare musica, diciottenne, dalla lettura dei “Flegeljahre” di Jean Paul, gli anni dell’incertezza, una parodia commossa dei vari “Anni” di Goethe, lo sente rivivere anche in Schubert: “Schubert è Jean Paul… espresso in musica”. E in Beethoven: “Quando sento la musica di Beethoven , è come se qualcuno stesse leggendo Jean Paul per me”. Di più l’avrebbe sentito in Mahler, che sul “Titano”, il romanzo di Jean Paul, compose la sua prima sinfonia, e più in generale alla poesia e alla favolistica si ispirò per le sue composizioni più elaborate e celebrate come la Sinfonia n.2.
Jean Paul è stato a lungo lo scrittore più amato in Germania. Schumann ne sarà ispirato tutta la vita, fino in manicomio. Dopo essersi a lui ispirato per questi “Papillons” per piano, una delle sue prime opere musicali, e successivamente, nota Sams, che cura questo ripescaggio,  per“molti altri capolavori pianistici nello stesso stile e genere, come «Carnaval» op. 9”. Per due intime connessioni: “Jean Paul si rispecchia in tutte le opere di Schumann, ma ogni volta in veste di due personaggi (come) Vult e Walt” in “Flegeljahre”, i due fratelli innamorati della stessa ragazza, Wina. L’introverso e l’estroverso, come gli schumanniani Florestano e Eusebio.  Comune era anche l’espressività di parole e musica congiunte, fra Jean Paul figlio di padre musicale, e Schumann figlio di padre letterato. Non la poesia musicata, dei lieder, cori, oratori, messe, ma la notazione musica connessa alla poesia – un processo d’immedesimazione che Mahler condividerà con Schumann.
 “I «Papillons» sono di fatto intesi come trasposizione di questo ballo in maschera in musica”, la scena al cap. 63 dei “Flegeljahre”. Per meglio aderire al testo di Jean Paul, Schumann si fece in bella calligrafia dieci estratti del capitolo – che Sams qui riproduce.  E lavorò alla sua composizione con continui riferimenti al testo. In particolare all’ultimo estratto, sul “ballo en masque” come “il più alto simbolo di poesia allusiva” – il rimescolamento di aristocratici e rozzi, vecchio e nuovo, delle stagioni, delle religioni. Salvo evitare di dirlo, nota Sams, dopo le prime uscite imprudenti con i familiari, gli amici e i critici: la sua musica era e sarà “un complicato ibrido verbale musicale”, ma, come già “sapeva per amara esperienza personale, tutta la sua concezione di un’espressività musico-verbale sarebbe tata accolta con risentimento e poi rigettata”, e quindi “non lasciò traccia del debito verso Jean Paul nello spartito pubblicato”.
Sams, all’origine musicologo, commenta qui lo spartito lungamente per ognuno dei suoi dodici piccoli movimenti. Dopo aver dato, con piacevole filologia, molti lumi sulle criptografiche musicali di Schumann, che ne era appassionato, un po’ per gioco un po’ per follia. In particolare su “Sphinx”, successione di lettere e numeri musicali, “(rintracciabile anche in Jean Paul)”, e su “Larve”, latino e poi tedesco per maschera – di cui c’è molto uso in “Flegeljahre”: Sphinx è anche “il nome di un genere di falene”, Larve sta per larva-bruco-farfalla. Un terzo elemento di comunanza tra Jean Paul e Schumann andrebbe aggiunto, la passione verbale, preziosa, ironica scherzosa, oggi di direbbe decostruttiva.
Erik Battaglia, che edita questo studio di Sams in memoriam, un ritorno di fiamma a Schumann dopo una vita dedicata a Shakespeare (tre libri e cento saggi), menziona più di un riferimento successivo allo stretto rapporto del compositore con Jean Paul. In particolare il saggio di Eric Frederik Jensen, “Explicating Jean Paul-Robert Schumann’s Programme for «Papillons»”, e l’edizione Henle della partitura, a cura di Ernst Hettrich.
Eric Sams, Robert Schumann-Jean Paul: Papillons, analogon, pp. XIV +  28 (con partitura) € 12

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