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domenica 3 novembre 2019

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (407)

Giuseppe Leuzzi


Si sequestra in Sicilia un carico di limoni spagnoli trattati con un anticrittogamico cancerogeno. Importare limoni in Sicilia sembra un controsenso. Ma si importava un tempo, e fu cosa lunga, il vino dall’Algeria. Per rivenderlo al Nord come vino siciliano da taglio. Senza la mafia.

Si saluta come un segno di libertà la decisione della Corte Europea e della Corte Costituzionale di dare licenze premio anche agli ergastolani per delitti di mafia. Senza obbligo di pentimento. E forse non è sbagliato. In questa “eguaglianza per i mafiosi” la confusione potrebbe dissiparsi: non saremo più governati dai confidenti, e i giudici riprenderanno a lavorare.

Gadda protoleghista
“Sopra i fieni e i formaggi è stata organizzata nel decorso ottantennio una sopraprovincia industriale, e poi idroelettrica, che dà lavoro e consente la vita ai padani stessi e ai molti «immigrati interni». Più che mezzo milione di immigrati interni nella sola Milano, su un milione e mezzo di abitanti”. Gadda spiega semplice e vero il miracolo - non ancora boom, siamo nel 1945 – del Nord,  o il senso della subito risorgente “questione meridionale”, in polemica con Mario La Cava. L’unica polemica politica della sua vasta pubblicistica giornalistica, con sdegno quindi non di maniera. Succedeva a “Il Mondo”, rivista allora fiorentina, diretta da Montale. Anche lui non convinto da La Cava, cui aveva obiettato sia presentando il suo contributo, “A proposito della questione meridionale”  (“Il Mondo”, Firenze, I, 11, 1 settembre 1945), sia a commento della lunga lettera di Gadda (ib., I, 13, 6 ottobre 1945). Gadda, vecchio combattente, muove sdegnato dall’accusa che i giovani del Sud erano stati mandati a morire in guerra per coprire gli operai imboscati del Nord. E allarga poi il discorso all’accusa che il Nord si è arricchito a spese del Sud.
D’accordo con La Cava sul contributo degli ufficiali e gli agenti di Polizia, “reclutati esclusivamente nel Sud e nell’isola del fuoco”, al mantenimento dell’ordine. Specie nella guerra civile e nella difesa dai tedeschi, e poi nella pacificazione generale. Ma non ci sono solo i questurini. “Anzitutto i «governi» d’Italia erano in pratica alle mani dei meridionali”, i governi veri, “la gran macchina burocratica dello Stato Italiano”: “La polizia, la finanza e le guardie di finanza, la organizzazione fiscale, la magistratura stessa, i romani e milanesi ministeri e uffici erano, in misura prevalente, combinati di funzionari meridionali. Il funzionalismo statale italiano recluta meridionali all’80%, lombardi al 0,05%”. Né solo “organi esecutivi dell’amministrazione”, sono meridionali “anche inspiratori e redattori ed interpreti delle leggi. E detentori effettuali dei poteri pubblici. Il numero di avvocati e giuristi e nomoteti che da lontane eredità pitagoriche o da più recenti vichiane traggono buona penna e discettante favella a legiferare” è prevalentemente meridionale. Per “merito e alto intelletto di quei cittadini”, ma pur sempre meridionali.
Un leghista precoce, ma non separatista. Gadda critica La Cava anche per il favore da questi mostrato verso il separatismo siciliano – “Accenni al passato. Reluttanza a Roma, i Vespri”: “Quanto alla guerra dei Vespri, essa diede la Sicilia agli Aragonesi (Caltabellotta, 1302). Quanto alla rapina romulea, non si potrà sostenere che Milano depredi oggi la Sicilia come Roma e Verre la depredarono. I graditi e saporosi agrumi che di là ci pervengono li paghiamo a contanti”.
Perplesso si ripete in conclusione La Cava: “Noi «sfruttiamo» i Siciliani. Treni e treni carichi di Siciliani straboccarono durante un trentennio alla stazione centrale nonostante il veto contro le migrazioni interne cui accenna il La Cava: veto che noi non abbiamo avuto occasione di percepire”.
La differenza? È la fatica, la forza delle acque, in superficie e nel sottosuolo, mettendo a frutto, con “fienagioni” e “ricolti” sui “livellati jugeri della pianura padana”, centrali elettriche e abbeveratoi facili e di poca spesa, per “loro”, i padani, “e i loro buoi e le loro vacche da latte”.      
Tre anni dopo, evocando Milano a Radio Milano, Gadda concluderà la lunga nota con un invito alla sobrietà: “Vorrei che al senso profondo dell’autonomia e della responsabilità economica, si accompagnasse un uguale ardore per ciò che è forma e stile della terrena vicenda, in questa terra che pur diede i natali al Caravaggio, al Cardano, al Manzoni.”

Contro l’emigrazione
È una grossa valvola di sfogo, è sempre stata la filosofia del fenomeno emigrazione. È sempre stata esercizio meritorio, dei più intraprendenti, giovani, intelligenti, disposti al sacrificio. E una fonte di accumulazione per quanto risicata, di capitale attraverso le rimesse. Ma non sempre. L’esercizio è anzi consolatorio, visti i costi, e gli sprechi: l’emigrazione è soprattutto uno spreco, a costi anche alti. Anche per un semplice calcolo costi\benefici. Quante risorse formative, delle famiglie, dello Stato e e degli enti locali, si disperdono, senza beneficio per i luoghi di formazione. L’emigrazione è la dispersione, la desertificazione dei luoghi di origine. 
La verità dell’emigrazione dal Sud è che il Sud si è privato di energie. Anche delle migliori, è vero. Erano bocche da sfamare? Non si sono sfamate meglio. Hanno risparmiato? Poco e male. Hanno costruito un futuro per i figli? A quelle condizioni l’avrebbero costituito anche a casa. Quanto hanno sofferto. E a che costi, di rinunce, sacrifici, umiliazioni, isolamento selvaggio. Da cui peraltro nulla può redimere, nemmeno la più buona delle intenzioni. Col senso della differenza sempre – talvolta, come negli Usa, per generazioni: si è dago per un secolo almeno.
La dispersione primaria
Spreco di energie vuol dire sul piano sociale l’interruzione ripetuta, continuativa, del processo sociale osmotico che si chiama della borghesia, il polmone delle società moderne. Di chi opera cambiando la propria e familiare posizione e condizione, e quella sociale, della comunità, con l’istruzione, la salute, la proprietà, nel senso dell’igiene mentale e in quello del possesso – della vigilia, la vigilanza, la fonte della partecipazione sociale e politica, la base delle scelte argomentate.
Si è impoverito quello che si chiamava il tessuto umano. Si è distrutto quello politico. Chi resta non fa più parte di una rete, è un isolato che lavora, nutre e accudisce la famiglia, e non si occupa di sapere, c’è e non c’è, e più di tanto non si impegna, nemmeno al voto.
La borghesia al Sud ha vissuto la Repubblica sfarinandosi: si sfilaccia, si sbriciola, a mano a mano che s’imbastisce. Crea per disperdere. Le sue energie in gran parte, in parte preponderante, spreca fuori. Il Sud non procede e anzi recede, perché ha invertito l’ordine: caso raro, non si applica all’accumulazione primaria ma alla dispersione.
La borghesia funziona come una pompa idrovora naturale: tira su le energie, le valorizza, le moltiplica. Al Sud invece in prevalenza le disperde, in acquitrini o in rivoli remoti, residui, asfittici. Valorizza i suoi figli non per allargarsi e irrobustirsi ma per privarsene – non per accumulare ma per disperdere. Che sembra assurdo e lo è.
Nella Repubblica il fatto è evidente perché l’emigrazione è a somma negativa sul semplice piano del reddito. Ma sempre è stato così, questa la “colpa” dell’unità, di avere reso l’emigrazione possibile, quella interna stimolata anche dall’avventura in “America.
Si dice: emigrando s’incontra il proprio destino. A che prezzo? Allo stesso prezzo o anche meno, di miseria senza l’isolamento e il disprezzo, si sarebbe incontrato (costruito) anche a casa. Con lentezza, con applicazione, con sacrificio.
Ora il Nord manca di insegnanti, medici, infermieri. Il Sud come sempre ne abbonda. Ma domanda e offerta non s’incontrano più. Perché emigrare al Nord costa troppo.
Il Sud s’impoverisce – relativamente, certo – perché si spopola e si sfianca. Non solo nel patrimonio edilizio abbandonato, nei paesi desertificati, ma nelle famiglie. Che risparmiano, investono, specie nell’istruzione, accudiscono, impegnando energie che sottraggono al lavoro, all’impresa, per creare dei vuoti. Il destino singolo va assicurato contro il destino sociale? Non è detto, e non è una buona cosa.

Milano
“Lotte di casse e di parte, lotte spietate fra città e città, nel Duecento lombardo; Lodi e Milano si odiarono e combatterono più ferocemente certo che Roma e Cartagine”, C.E.Gaddda, “Immagine di Lombardia” – in “Divagazioni e garbuglio”, p. 399.,

Il “Corriere della sera” confina a una pagina di girata, quella con meno visibilità, il titolo grande “Quella di Roma non fu mafia”. In quella di riguardo invece, che si vede sfogliando il giornale, limitandosi a “Il valzer delle sentenze e il finale a sorpresa: la sconfitta della Procura”. Da intendersi: perché la mafia c’è, a Roma, malgrado le due sentenze definitive che dicono di no.   

Oltre 17 mila bambini non hanno accesso all’asilo nido in Lombardia perché i genitori si rifiutano di vaccinarli.

Presentando a Roma alla Festa del cinema le sue memorie, “Lucia Bosé. Una biografia” – che nessun editore italiano ha voluto – la diva di “Riso amaro” ha questo ricordo dei milanesi a piazzale Loreto, lei aveva 14 anni: “Andai con altri ragazzi e ho visto Mussolini e Claretta Petacci appesi a un metro da me. Sono scappata via per la paura mentre tutti gli buttavano pomodori e patate”. C’era già l’abbondanza.

“Poche cose identificano l’importanza, anche morale, di Milano e la sua innegabile grandezza di capitale, mancata sì, da un punto di vista amministrativo, eppure decisa spinta propulsiva di un Paese del quale, anzi, resta l’unica città davvero di risonanza mondiale, e non per il passato (ché Roma e Venezia non hanno rivali), ma per il presente, e, presumibilmente, per il futuro, della intelligenza e della coltivazione tenace di una idea di lavoro che sapesse unire qualità, arte, artigianato, ironia, divertimento, creatività e, per dire una parola grossa, ma giusta, grazia”, Stefano Salis, “Il sole 24 Ore”. Infusa? Con l’ironia?

L’arcinemico Barbarossa Milano saluta al museo del Castello con una stele al “roemischer Kaiser deutschen Nationen”.

Puzzava nel Sette-Ottocento. Il “foraneo (brianzuolo)” Parini di Gadda lo lamenta nell’ode “La salubrità dell’aria”. Per averlo lamentato “un contino bergamaschino che fa il cattivino contro i Meneghini” - nonché “poetino” “romantichino” - si becca da Carlo Porta un sonetto d’ingiurie con questo titolo.

Immigrati irregolari in Italia nel 2019 fino a metà ottobre poco più di ottomila. In Spagna, 23 mila. In Grecia, 45 mila. Il problema per l’Italia è relativo. Ma “un marocchino al semaforo ed è il terrore”, notava di Milano “Fuori l’Italia dal Sud”, nel 1993.

In Italia i migranti muoiono. Muoiono al largo di Lampedusa, perché il trasbordo è lungo e pericoloso. Ma questo non si vuole vedere. Né come e perché questa gente arriva. Milano vuole solo potersi commuovere, su Lampedusa e gli africani, il più lontani possibile.

“Rumorosa città del silenzio”, la dice Gadda, “Divagazioni e garbuglio”, 74.

“La Lombardia è la vera terra dei fuochi”, scrive e documenta su “Panorama” Silvio SturleseTosi: trecento incendi di plastiche e altri materiali accatastati, in un anno e forse meno, da quando la Cina ha ridotto il trattamento di materiali da riciclare.

Falde inquinate si denunciano (poco, senza allarme), nel vercellese e altrove. Era già successo negli ani 1960/70, quando la Lombardia si era accreditata come discarica, lucrosa, degli scarti tossici  (mercurio, cromo, diossina) delle industrie svizzere e tedesche, che per legge non potevano scaricarli nei loro paesi. Fiumi di veleni si scaricavano nel Ticino, il Lambro, l’Olona, l’Adda, che finivano nel Po.

L’antica Mediolanum, in mezzo al piano, il tedesco ingentilisce in Mailand, terra di maggio. O terra di mai?

La Lombardia era “il frutteto privato di Dio in terra” per Vernon Lee, la scrittrice inglese dei racconti noir, specialista del Settecento

Nel 1158, racconta Bernard Lewis in “The Assassins”, si disse che i milanesi avevano assoldato un commando di terroristi del Veglio della Montagna per uccidere l’imperatore Federico Barbarossa che li assediava. Di terroristi islamici. Talvolta le voci sono vere.

Una dozzina di allenatori al Milan in dieci anni – il più lungo in carica, Gattuso, mal sopportato. Di più all’Inter. È una gara all’incontinenza.
Ma non senza motivo: le squadre milanesi non ci stanno a perdere, la colpa è sempre degli altri.

leuzzi@antiit.eu

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