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martedì 8 febbraio 2022

Il genio ironico dell'impolitico Th. Mann

Un saggio che il settimanale presenta nell’indice come “The Ironic Genius of Thomas Mann”. Con riferimento a un’opera del 1958, riedita nel 1981, di Erich Heller, “Th. Mann, the Ironic German”, su cui anche Alex Ross infine concorda. Poi pubblicato a stampa col titolo “Behind the Mask”, dietro la maschera.
Il saggio è la recensione della biografia scritta da Colm Tóibin, “The Magician”, e della riedizione delle “Considerazioni di un impolitico”. Di Tóibin assume poco, delle “Considerazioni”, invece, molto. Dichiaratamente, già nel sommario: “Come il tormentato manifesto conservatore del romanziere tedesco porta ai suoi più tardi capolavori modernisti”. A partire dalla “Montagna magica”, o incantata. Che Ross a ragione dice un dialogo tra i due fratelli Mann, Heinrich e Thomas, infine riconciliati seppure a distanza - stando a quanto lo stesso Thomas scrisse nel 1944, per giustificare le “Considerazioni di un impolitico”. Il “manifesto conservatore” è le “Considerazioni”.
Alex Ross è di professione musicologo. Ma conoscendo tutto di Th. Mann, fin da ragazzo, se ne vuole migliore lettore. Acuto sicuramente. Le “Considerazioni” spiega come il libro più vero (spontaneo, personale) di Thomas Mann. E come il suo “secondo romanzo”. Dal 1901, col successo immediato dei “Buddenbroook”, fino al 1924, “La Montagna magica”, Th. Mann annaspa. Passando da “Fiorenza” a “Altezza reale”, “Federico il Grande” e “altri ponderosi progetti”. O racconti su temi triviali: di pazienti in una clinica svizzera per tubercolotici, le confidenze di un simpatico cavaliere d’industria, una vacanza a Venezia. Con le “Considerazioni” si libera. E soprattutto abbozza temi che poi svilupperà. Nel primo dopoguerra con la “Montagna magica”. Negli anni cupi di Hitler con “Carlotta a Weimar” e il “Doctor Faustus” – “il Doctor Faustus rimette in scena la vita di Nietzsche”.
Le “Considerazioni” sono un po’ i “Quaderni neri” di Thomas Mann. Non esattamente, nel senso che poi se ne è vergognato, e in qualche modo ha recuperato. Ma sì perché ne esprimono il suo vero o intimo modo di essere, vedere, giudicare: diretto e non artefatto, come è dei suoi successivi racconti. “Le «Considerazioni» sono un assemblaggio straordinariamente contorto di allusioni, imitazioni, insulti obliqui, citazioni non attribuite, plagi, e autocannibalismo. Nell’importante volume dell’edizione annotata dell’opera di Mann in corso dall’editore S. Fischer, lo specialista Hermann Kurzke fornisce quasi ottocento pagine di commenti, dando conto di circa quattromila citazioni”. Molto autoelogiativo: “Mann immagina che i robusti eroi della Germania traggono alimento dal suo lavoro – «Morte a Venezia» dice specialmente popolare nelle trincee”.
Così avverrà nelle narrazioni da ora in poi, tutte autoreferenti. Ma a un Th. Mann attaccapanni, non modello, sentimentale o romantico.
Qualche dubbio doveva averlo già da prima, va aggiunto, se “Tonio Kröger”, l’autoritratto giovanile, a lungo aveva intitolato “Literatur”. Del modulo espressivo che fa delineare al narratore in “Morte a Venezia”, 1912, a quella data ancora “magniloquente”, dieci anni dopo, dopo le “Considerazioni”, farà di sé stesso il “modello”: “Quello cui ambiva, tuttavia, era di lavorare alla presenza di Tadzio, di prendere il fisico del ragazzo come il modello per la sua scrittura, di lasciare il suo stile seguire i contorni di quel corpo che gli sembrava divino, di trasportare la bellezza nel regno dell’intelletto, come l’aquila un tempo trasportò il pastore troiano nell’etere”, Ganimede. Una “Morte” in effetti parecchio artefatta, va detto, più che dannunziana. Con le “Considerazioni” il passo è diversissimo – Th. Mann allo specchio non poteva vedersi Ganimede… E con la scoperta l’ironia si sostituisce alla magniloquenza: le narrazioni saranno filtrate dalla ironia. Le architetture ora così spesso sapienti, in risposta al committente-lettore, anche sui temi pruriginosi (l’incesto, fraterno, oltre all’omossessualità, e la masturbazione) sono organizzate, a ben leggere, su un taglio semiserio.
Ross non è solo in questa valutazione. Molta critica riporta Th. Mann a Nietzsche - se non altro per ragioni anagrafiche, la sua età di formazione coincidendo con la prima notorietà di Nietzsche, il piccolo succès de scandale della follia. A partire dal vecchio libro di Heller: al Nietzsche che considera il temperamento ironico come l’essenza vitale che unifica e impone gli elementi contraddittori del genio. Ross ci aggiunge “Carlotta a Weimar”, in cui il vecchio Goethe indulge all’onanismo – un Goethe in età che è tutto Th.Mann: quello che si nutre delle vite degli altri, il genio cannibale, parassitario. E soprattutto fa un’analisi puntigliosa di “Morte a Venezia”, da cui emerge quanto il racconto è ancora costruito e non una foia personale.
Un capitolo a parte del saggio, leggendo Tóibin, prende la pretesa omosessualità. “Pochi scrittori di romanzi hanno con tanta costanza”, come Mann, “incorporato le loro proprie esperienze nel loro lavoro”, premette il recensore giunti a questo punto. Ma “la sua sessualità è un enigma esibizionistico”, conclude. Su questo tema facendo riferimento alla narrazione di Tóibin. Nei diari Th. Mann è dettagliato, e annota anche erezioni, masturbazioni, polluzioni notturne, ma nei racconti è in difficoltà a parlare di rapporti omoerotici, e nel 1950, dopo la lettura di Gore Vidal, “La città perversa” (“The City and the Pillar”), si chiede: “Come si può andare a letto con uomini?”
Ma a questo proposito una pista andrebbe seguita, che Th. Mann stesso più di altre delinea. Dell’omofilia come uno dei tanti profili pruriginosi che lo scrittore ama presentare di sé, come è di tutta la narrativa “di Weimar” o austrotedesca del primo Novecento, fino a Hitler abbondante, tra l’incesto e l’onanismo. E non escluso l’antisemitismo, di “Altezza reale”, “Sangue velsungo” e altre narrazioni – che in Th. Mann fa specialmente senso, uno che si vuole maiuscolo anche da biblista, sposo di una donna ebrea cui felicemente fece sei figli, anche se non se ne occupò (Katia Pringsheim, di cui si evita di fare la biografia, che era bella, ricca di famiglia, più dei Mann, e di parentele artistiche più che commerciali, intelligente, studentessa di matematica, e spiritosa).
Un tassello per un quadro che pure è già chiaro. Th. Mann, autore coscienzioso, corteggia l’aria dell’epoca. Nel primissimo Novecento il romanzo borghese, di derivazione anglo-parigina, e in area germanica l’omofilia, l’incesto, l’antisemitismo. E il nazionalismo naturalmente, quando il mondo teutonico nobile era nazionalista, prima del plebeo Hitler. Da ultimo, per Th. Mann, la “Svizzera”, domiciliazione non poi bizzarra nell’ottica thomasmanniana del mainstream: per non dispiacere a Mosca stabilendosi, come pure era ovvio, nella Repubblica Federale – nel 1955 un Lukács ancora “sovietico” in linguaggio paleostalinista può annettere il Thomas Mann del “Doktor Faustus” al “sole dell’avvenire”: “Thomas Mann, il poeta, sempre più apertamente, sempre più decisamene, si batte per la vita, per la salute, per la pace e per  il socialismo – contro la morte, la malattia e l’estinzione, contro l’imperialismo reazionario, contro il fascismo” (prefazione a un’edizione ungherese dei racconti giovanili di Th. Mann, datata 15 aprile 1955, di cui ha dato conto Giorgio Pressburger sul “Corriere della sera” il 5 settembre 1996, “Thomas Mann? Marcia con Stalin insieme a noi”).
Alex Ross, Thomas Mann’s Brush with Darkness, “The New Yorker”, free online

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