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sabato 5 luglio 2008

"ah! l'Italia!", e il complotto si scatenò

La partenza è da giornalista: l’Italia non fa nazione, tiene famiglia, non ha il senso dello Stato, eccetera, si spiega così che “sia priva di un grande teatro e scarsa di una grande narrativa”. L’Italia priva di un grande teatro, che dice Soldati? E ora che i romanzi italiani si vendono come il pane, anche all’estero, diremmo l’Italia una nazione, col senso dello Stato? Ma nella raccolta in volume queste prime corrispondenze si articolano come un falso scopo: Soldati, improvvisato a 76 anni inviato speciale da Alberto Cavallari, il direttore del “Corriere della sera”, al Mundial di Spagna, se ne serve per riscoprire l’Italia Unita, l’Italia. Se la fa riscoprire da Zoff, il mutangolo portierone friulano. Che allo scrittore, per la terza o quarta volta in questa raccolta impelagato nella teoria che solo i piemontesi e i friulani hanno il senso dello Stato, per essere stati sudditi di monarchie onorate, obietta: “Ah, ma così si divide l’Italia”. Soldati ne farà la leva per non cessare di entusiasmarsi senza pudore per i successi degli Azzurri.
Liberare Soldati da SoldatiBisogna scoprire Soldati. Circola un solo Soldati, quello televisivo: baffi, acuti, paradossi, la recita della simpatia. Ma c'è stato un altro Soldati, innamorato almeno due volte, adolescente in fuga dalla madre, giovane giramondo, padre di più figli, per quanto involontario. E questo è lo scrittore, che tutto sa raccontare, un gesto, una reazione, una situazione, un umore. C'è una distinta presa biografica nei suoi racconti - anche i romanzi sono racconti, anche gli scritti d'occasione, sul vino, sul calcio, e questi sulla guerra. Bisogna liberare Soldati dal Soldati che lo nasconde.
La raccolta delle corrispondenze per il “Corriere”, che Sellerio ripubblica, è uno dei singolari libri di Soldati, che raccontano – fanno rivivere – il noto e pure il trito. Per aneddoti, figure, squarci, per una cadenza sempre precisa dell’attenzione. “Estroso e sagace” lo dice Gianni Brera nella bandella della prima edizione nel 1986. Non amato dai critici militanti ma probabilmente già un classico. Due pezzi d’autore arricchiscono la raccolta, uno di un anno dopo il Mundial, sulla vecchiaia triste dopo tanta spensieratezza, e uno di sedici mesi dopo, sulle gioie delle fissazione, insomma della vecchiaia, tornare a Vigo e farsi fare la barba per ben cinque mattine col rasoio a mano libera dall’ultraottantenne figaro locale.
Soldati non dice il motivo del ritorno a Vigo, meta fuori di ogni itinerario. Per ben un settimana, quando un solo giorno nei suoi salvifici nomadismi solitamente lo satura di emozioni. Il lettore può immaginarsi che sia andato solo per quello, per il piacere di farsi radere e conversare delle solite cose col vecchio barbiere. Da vecchio a vecchio sfuggendo così alla depressione dell'età che declina, all'uggia della vita solitaria in famiglia e alla macchina da scrivere, senza più attese né sorprese. Un epicedio molto soldatiano.
La chiave che Soldati sceglie per la trama di fondo è anche purtroppo un reperto ormai ammuffito. L’italianità gioiosamente riscoperta da Soldati è in procinto di essere affossata da Milano, con la Lega e Mani Pulite. Quanto al Mundial, vinto dall’Italia con pieno merito, si può porlo all’origine del complottismo che avvelena l’Italia – solo l’Italia, in Europa e nel mondo. Sono sempre strabilianti a rivederle le vittorie a danno di Argentina, Brasile, Polonia, Germania. Alla maniera della Spagna degli Europei, di Fabregas, El Nino e il gioco di squadra. Che solo l’Italia è riuscita a contrastare efficacemente, col gioco di squadra. Il titolo del 1982 è uno dei più limpidi di tutti i Mondiali. Ma i vedovi tipicamente italiani della storia che si dilettano ad annientarla cominciarono allora la demolizione. Per magnificare il Camerun trovarono qualche camerunese che, non per soldi, per una birra, disse Italia-Camerun comprata. E comunque non furono comprati gli arbitri (chi può provare il contrario)?
Massimo Raffaeli ricorda un passo di “Le due città”, in cui Soldati, juventino a Roma, assiste a metà degli anni Trenta all’inopinata sconfitta della Juventus a opera della Roma sul campo in terra del Testaccio: “La Juventus era una cosa seria; era, forse, ormai, la sola cosa seria della vita, visto che alla politica non si poteva più pensare, e pareva che non ci fosse speranza che il fascismo finisse”. È così, il fascismo non finisce. E ha finito per soffocare il Mundial, e la stessa Juventus.
Mario Soldati, ah!il Mundial!, con una nota di Massimo Raffaeli, Sellerio, pp.155, € 11

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