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martedì 6 dicembre 2022

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (510)

Giuseppe Leuzzi

“Sono metà siciliano e metà napoletano e sono cresciuto a Bensonhurst, un’area tutta italiana”, proclama a Monda su “la Repubblica” Anthony Fauci, il controllore americano della sanità che ha lavorato con sette presidenti, alcuni dei quali lo hanno avversato con asprezza, da ultimo Trump. Uno a cui peraltro tutti riconoscono grandi meriti. È straordinario, e sempre inspiegato, che questo non possa avvenire in Sicilia e a Napoli.

La Corte dedi Conti esamina infine il bilancio della Regione Sicilia 2020 e lo boccia: deve trovare subito un miliardo 620 milioni. Un decreto del 2019 che consentiva alla Sicilia di spalmare il debito in dieci anni non è “costituzionale”.
Perché scoprire incostituzionale a fine 2022 un decreto del 2019? Burocratismo? Probabile, trattandosi della Sicilia: la Corte dei Conti non si sarebbe svegliata tre anni dopo se si fosse trattato della Toscana, per dire.
Sempre si conferma che il problema del Sud è l’Italia, lo Stato. E non per ridere, come si argomentava trent’anni fa, “Fuori l’Italia dal Sud”.
 
“La vera secessione è degli scrittori del Sud”. Si rilegge casualmente un vecchio saggio disperso di Luigi Baldacci (“Corriere della sera”, 15 ottobre 1996, con questo titolo), e si trasale: “Dagli autori meridionali le denunce delle speranza tradite del Risorgimento”. Subito, dopo l’unità: Verga, De Roberto, Pirandello. “Per i «nordisti»”, invece, “una visione bonaria e ottimista. Al Nord dominava l’ottimismo dei «nipotini» dI Manzoni”.

Il libro di Alessandro Barbano, “L’inganno”, riesplora il giustizialismo. Con intercettazioni a strascico, indiscrezioni pilotate, testimonianza indotte con i benefici di legge, anche dei delinquenti più perversi. Per le carriere dei giudici, e degli inquirenti. Un fascismo giudiziario impiantato sulla legislazione antimafia – su questo “la linea della palma” ha veramente invaso l’Italia. Cose note. La sorpresa è il pubblico plaudente alla presentazione del libro: Giuliano Amato, Paolo Mieli, Gianni Letta, Savona, Brunetta, Bini Smaghi, Giachetti, Maria Elena Boschi… Cioè, la classe dirigente.

Ma Milano accettò l’Italia a malincuore

Si resuscita Bossi contro Salvini, e Bossi resuscita il leghismo “puro e duro”. Ma questo leghismo è molto più vecchio di Bossi, di un secolo. E si manifestò anche, con asprezza – se i letterati erano “bonari”, bonariamente unitari, come dice Baldacci, i milanesi no.  
Avvenne tardi, a fine Ottocento, in preparazione dell’era Giolitti, che Milano accettò l’unità, pur continuando a diffidare di Roma. Fu dopo la sconfitta di Adua, 1896. Che fu la sconfitta di Crispi, l’odiato presidente del consiglio che aveva indispettito i milanesi. Tutti: i federalisti di un tempo, cattolici e repubblicani, gli unitaristi moderati, e i socialisti, nuovi alla politica parlamentare.
Ancora un anno prima il socialista Filippo Turati ribadiva sulla “Critica sociale”: esistono “due nazioni nella nazione, due Italie nell’Italia, che discutono pel sopravvento”, e dava a Milano un ruolo di guida politica per l’intera nazione e anzi di moralizzatrice del nuovo Paese. Milano, federalista nel fondo con Cattaneo, aveva sofferto la politica delle annessioni plebiscitate, e poi via via molte delle scelte politiche unitarie: Firenze, Roma, il fiscalismo, il burocratismo, la guerra doganale alla Francia, la Triplice Alleanza, che si voleva nemica di Parigi e Londra, le capitali cui Milano guardava – i Verri, Federico Confalonieri, Manzoni.
Crispi individuava in Milano una “Repubblica ambrosiana”, uno “Stato di Milano”. Che diceva dominato da una “fazione aristocratica plebea” nemica dell’Italia.
In precedenza la lamentela era “comune” (Fausto Fonzi, “Crispi e lo ‘Stato di Milano’”) contro l’“oppressione” delle “classi dirigenti meridionali, che sfruttano le regioni più laboriose per sostenere una pazzesca politica estera e coloniale”. Dopo Adua Milano fu agitata da manifestazioni di piazza, che si concentrarono sul Comune, e imposero al sindaco, Giuseppe Vigoni, di farsi latore a Roma di questo messaggio chiaro: fine della guerra d’Africa e dimissioni di Crispi. Il che avvenne – Crispi annoterà nel diario le parole della regina Margherita: “Questa volta ha vinto Milano”.

Milano sempre si mette in rapporto con “Roma”, con l’Italia, in termini rivendicativi, bellicosi. Da ultimo con la Lega e con “Mani Pulite”. Dopo la violenza di piazza, fino al terrorismo.     


L'Italia perde terreno, il Sud regge
Le tabelle Eurostat registrano un calo sostanzioso, un crollo, del peso realtivo dell’Italia nell’economia europea. Nell’insieme, e pro capite. Dal 2000 in poi, da quanto Eurostat fa questo calcolo (ma sicuramente da un decennio prima, dal crollo della lira). Ma il calo è più marcato – molto più marcato - al Centro-Nord che al Sud.
La metà del’Italia che registra un pil pro capite al di sopra della media europea ha visto il divario ridursi di 15 e 20, anche 30, punti percentuali – Roma di 40. Anche le province meridionali hanno perso terreno sulla media europea, ma di poche unità: un miglioramento relativo, rispetto al resto d’Italia.
Se l’Italia non corre il Sud non arranca? Quello che si può dire è che il Sud mantiene le posizioni nella disgrazia generale: l’Italia è in forte calo di produttività. È ancora un paese industrial, la seconda economia manifatturiera d’Europa, pare, dietro la Germania. Che è l’attività che dà più valore aggiunto. Ma con investimenti insufficienti, soprattuto nelle infrastrutture (reti, comunicazioni, tecnologie, ricerca applicata). E un settore dei servizi in grande espansione, ma nell’accoglienza (turismo), che è un settore poco riproduttivo, piuttosto che in quelli tecnologici, finanziari, alla persona.   
 
Il Sud deserto delle cattedrali
Il megarissaficatore a Gioia Tauro, il Ponte sullo Stretto, e ora “le coste sarde contese dai big dell’eolico: progetti per 1.500 nuova pale, torri alte 300 metri”.
Ci saranno dei cicli nell’economia, come qualcuno ancora teorizza? Al Sud evidentemente sì, se invece della manutenzione ordinaria (strade, ferrovie, ponti, porti, linee telefoniche, wi-fi, etc.) si ripropongono le vecchie “cattedrali nel deserto” – anche l’eolico è pagato dallo Stato (cioè da noi, lo paghiamo in bolletta “oneri di sistema”: un affare sicuro, solo utili). Le raffinerie, i petrolchimici di Gela, Ottana, Brindisi, Crotone, i tanti veleni disseminati da Montedison, la stessa acciaieria di Taranto. Che hanno distribuito qualche stipendio, per alcuni anni, diffuso molti veleni, e lasciato rottami. Senza fare o promuovere il circolo virtuoso dello sviluppo.
Riproporre oggi le cattedrali è però colpevole. Perché si sa che non sono motore di sviluppo né lo avviano - la globalizzazione ha accantonato ogni altra teoria dello sviluppo, i megainvestimenti come la cooperazione, magnificndo il lavoro: crescono, anzi si moltiplicano, le economie che sono lasciate libere di lavorare, senza ostacoli o limiti sui mercati. Ma anche perché si sa che le nuove cattedrali si fanno al Sud sempre per il vecchio complesso nimby, not in my backyard, non nelle vicinanze: fumi, polveri e puzze non valgono i (pochi) stipendi.   
 
Milano
Sul “Corriere della sera” Elvira Serra racconta “Una notte a Milano”. Non incontra che immigrati, o figli di immigrati, pagati poco e pochissimo anche di notte, e tutti, senza eccezione, anche i più giovani, preoccupati della violenza dei ragazzi. È vero che Serra viene dalla Sardegna, però che notte a Milano!
 
Due francesi, impiegati di banca, dicono a Serra di trovarcisi bene perché Milano è piccola, mentre Parigi è troppo grande, e vi “si fuma troppo, ci si droga troppo”. A Parigi e non a Milano? E poi, aggiungono, “prendiamo le paghe francesi, altrimenti a Milano non potremmo vivere”. Un sogno.
 
Bacilieri, veneto, con molte esperienze fuori, a Parigi e altrove, si considera milanese – “la mia teoria”, confida a Luca Raffaelli sul “Robinson”, “è che, mentre non si può diventare napoletani e direi neanche romani, si può diventare milanesi”. Concludendo: “Magari ci vuole tempo e fatica, e chissà se vale la pena”. 
 
Pronta Milano fa la fiera del turismo lgbtq+. Con 547 partecipanti, di 39 paesi, di spiega con orgoglio. Perché è un mercato speciale? Viaggiano molto. Quanti viaggi fanno in un anno? Tre. Quanto spendono? 2-3 mila dollari, l’uno. Buoni clienti. L’unico problema è aggiornare i portieri, quando in due, dello stesso sesso, chiedono una matrimoniale. “Il turismo lgbtq+, che in Italia vale 2,87 miliardi, in Europa 75, è un mercato che fa gola a molti”.
 
È a Milano che - si ricorda, ricordando Testori – fu bloccata la “Arialda”, il dramma messo in scena da Visconti, con la collaudata compagnia Stoppa-Morelli. Dalla Procura di Milano, che già allora “faceva” l’Italia. Da parte di un Procuratore Capo sempre napoletano, Carmelo Spagnuolo. La miscela dev'essere micidiale.
 
Si aspetta per “montare” il caso della curva Inter svuotata durante la partita perché il capo “ultra”, un pluripregiudicato, è stato assassinato. Si aspetta di poter dire che c’è dietro la mafia, o la ‘ndrangheta – ora ci vuole la ‘ndrangheta. Milano altrimenti non fa delitti.
 
Si indaga a Torino, la Juventus, in continuazione, a ogni assoluzione segue un nuovo processo, non si indagano Milan e Inter per le stesse ipotesi di reato, accordi con gli “ultra” e falsi in bilancio, Milano si sa proteggere. Mafia?
 
Racconto lungo lusinghiero di Marco Missiroli pubblica “La Lettura”, “Milano 100%”, dove si spiega così i timori del provinciale immigrato: “Come in un verso di Enzo Jannacci un frammento di quella pubblicità che a noi della riviera faceva tanta paura: la bottiglia dell’Amaro Ramazzotti proiettata su dei palazzoni con sotto il traffico, la notte, e le luci dei neon rossi, la città da bere”.
 
Giuseppe Catozzella, autore di “Italiana”, romanzo “sull’unità dell’Italia”, nato e cresciuto a Milano, si sente milanese. Pur avendo con Giorgio Dell’Arti su “Robinson” ricordi tristi di scuola, per essere figlio di genitori lucani: “Ero l’unico di origine meridionale. Mi sfottevano. Tanta sofferenza…”. Alla domanda: “I milanesi sono razzisti”, rispondendo deciso. “Oh, sì. Molto razzisti”.
 
“Sir Thomas More”, il drama elisabettiano a più mani, compreso Shakespeare, che ora si recupera, parte da un evento del 1517, lo Ill May Day, il “Malo Calendinaggio”, quando Londra si ribellò contro gli “stranieri” – “portano le malattie”, “si prendono il lavoro”, “si prendono le donne” - e il futuro cancelliere del re Thomas More, allora sceriffo di Londra, si prodigò per far tornare la pace.
Nel dramma More opera per salvare un tracotante Francois de Barde, che si trascina dietro la moglie di un onesto lavoratore, “un lombardo”, e un Cavaler, “un lombardo, o un francese”.
De Barde sarebbe stato un mercante toscano in realtà, della famiglia dei Bardi. Ma la tracotanza era ritenuta a Londra lombarda.
 
Tutte le province meridionali sono al di sotto della media europea del pil pro capite. Ma anche le province di Como, Lodi e Pavia, con Varese poco sopra, il feudo leghista.


leuzzi@antiit.eu

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