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domenica 25 dicembre 2022

L’odissea montanara della morte – o la fatica del vivere

Una giovane madre il cui primo parto è di una bambina che nasce morta, in una spiaggia povera di pescatori a fine Ottocento-Primo Novecento, di fronte al rifiuto del parroco di battezzare la salma, decide d’intraprendere un “viaggio del respiro”, verso un remoto santuario al confine con l’Austria, per avere il miracolo dei pochi secondi di resurrezione del cadaverino che ne consentano il battesimo.
Il film è del viaggio, lento, lungo, a piedi, col fardello della figlia morta in una cassetta di legno. Dalle marane della laguna di Marano al cuore della Carnia, una val Dolais, un abitato chiamato Trava, in prossimità di un lago. Un’odissea dentro una montagna inospitale, con l’aiuto-guida di un ragazzo che è una ragazza, Lince – che per prima cosa ha tentato di venderla a servizio come balia. Dentro un mondo sempre arcaico, per essere povero, ignorante, isolato. In un friulano appena accennato, e pieno di forestierismi (tedesco, slavo). Di banditi di passo, streghe avide, padri che ripudiano i figli – Lince. La morte è infine bella, come soave, provata o intravista o sognata, nelle acque del lago di approccio, come un ritorno all’elemento liquido primordiale: la prova della resurrezione - Mar sarà battezzata la creaturina al momentaneo risveglio. La morte definitiva, dopo l’accidentata odissea montanara, è infine pacificante, con sepoltura nel cimitero del minuto santuario.
Un’opera al femminile. Di donne buone e cattive, tutte determinate – l’unico personaggio maschile, Lince, è una vergine di proposito. Sul tema della maternità, che privilegia e asservisce la donna, ma sembra non domarla. In ogni caso senza alcun bisogno del maschio.
Un’opera visiva. Di senso forse simbolico, più che narrativo: il viaggio della vita, la vita come sequenza casuale, compresa la resurrezione come illusione. Il senso finale, per lo spettatore ingenuo, è la stanchezza del vivere, malgrado la fede, l’estrema fiducia.
Un apologo che finisce per essere religioso. Della fede che non può non essere indiscutibile, indistruttibile. In fattezze però di fatica, bruschezza, brutalità, Avversità di ogni tipo in ogni momento, per lo più umane. 
Un’opera apprezzata in molti festival che però non ha trovato distribuzione: di ardua ricezione. Recuperata a Roma da Nanni Moretti nel suo cinema. Una narrazione faticosa, di senso incerto. Forse non abbastanza significante come sequenza di immagini, al montaggio, malgrado la poeticità dell’aneddoto.
Laura Samani, Piccolo corpo 
 

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