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venerdì 10 febbraio 2023

Buona morte con riso sardonico

In epoca senza tempo, ma con l’automobile, i jeans nuovi, e il televisore in camera. In una geografia inventata ma non fantastica – i fagioli bianchi di Tonara e le ciliegie di Aritzo sono reali, e così pte i tanrtssimio dolci di cui si attesta l’uso, la confezione e il sapore. In un mondo affatato invece che arretrato - la notte di Ognissanti le porte delle case si lasciano aperte, non solo per dare alla narazione il suo punto di svolta, ma perché le anime dei morti entrino a nutrirsi. E aperto, soprattutto alle guerre, la prima e la seconda, con tante vedove e tanti storpi, ma
circoscritto, qual è la Sardegna. Eventi normali ed eccezionali vi si producono che coinvolgno il lettore, anche se Murgia, al quasi esordio come narratrice, ha voluto mettere assieme tre temi d’attualità, quindici anni fa e ancora oggi, nel quadro della “correzione politica”: la “buona morte”, la pedofilia, e l’affido, o la famiglia per scelta.
Una vechia sarta prende in affido, “fill’e anima”, figlia dell’anima, una bambina che fa i dolci col fango, la più piccola di quattro sorelle, figlie di una vedova, che cresce. Praticando se richiesta la buona morte, per ridurre o eliminare le sofferenze a chi è già condannato. Un uso e un “mestiere” che sarebbe etnico, tradizionale e sempre in pratica - come già la “mammina” dei parti, e la mammana degli aborti? Sotto la scorza della legge.
Un racconto tematicamente inquietante, se poco poco uno si diletta di storia. La buona morte sa sempre di eugenetica (razzismo) e di Hitler, c’è poco da fare, se programmatica – la realtà, di fatto, si compone e si ricompone. E nella geografia fantastica ma non tanto, non si può non evocare la vecchia pratica isolana di uccidere i vecchi. “Tra l’antichissima popolazione di Sardegna, i sardi o sardoni, vigeva l’uso di uccidere i vecchi. E mentre uccidevano i vecchi, ridevano sonori”, spiega Propp, l’analista delle fiabe. È una commistione: a Creta, alle origini dell’Occidente, una statua di bronzo fu donata, di nome Telo, che ogni giorno faceva il giro dell’isola, e se incontrava un nemico fenicio lo arroventava abbracciandolo e rideva. La risata passò in Sardegna quando Telo e i cretesi, fonditori di metallo, si trasferirono nell’isola ricca di miniere – via Sardi di Libia, lì vicino? Il riso nacque così irridente, sardonico, cioè in Sardegna.
Letto a distanza dal succès de scandale della prima uscita quindici anni fa, il romanzo fa emergere (pesare) il disegno politico. Ma è una lettura sempre gratificante: inventiva, accattivante. Di giusta misura anhe nei linguaggi, tra le intraducibilità linguistiche, gli usi folklorici e una umanità moderna-tradizionale. Il riuso delle forme espressive locali è di speciale interesse, sempre vivo – a fronte, per esempio, della stagione dei dialetti, così perenta, per esempio in Pasolini, forse anche in Gadda.     
Michela Murgia,
Accabadora, Einaudi, pp.165 € 12

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