Giuseppe Leuzzi
L’Italia è, dopo la Polonia, il maggior percettore dei
“fondi di coesione” europei: 43 miliardi nel piano in atto, 2021-2017- contro i
76 della Polonia. Per 30 miliardi destinati al Sud, Abruzzo escluso. Inutile
andare a vedere come sono spesi, e come sono stati spesi in passato, con che
effetti. Dalla Polonia in 25 anni, dall’entrata nella Ue, dall’Italia in
cinquanta, da quando fu varato il Fesr, il Fondo europeo di sviluppo regionale,
antento dei fondi di coesione. Sempre più, a ogni inciampo, si manifesta che il
problema del Sud è l’Italia, Roma.
“Racconto la mafia nascosta
fra le pieghe dell’inconscio”, spiega Davide Enia, che al teatro India di Roma mette
in scena un “Autoritratto”, palermitano, con queste parole: “La mafia non è un’organizzazione
criminale e basta: è una struttura linguistica, sono istinti del corpo,
desideri da branco, è questo che dobbiamo sconfiggere”. Non solo desolidarizzare.
Solidarizzare con la mafia?
“Gli ultrà di Inter e Milan
come milizie private. Chiesti 100 anni di carcere”. Grave sì, e anche di interesse, ma non poi tanto:
in pagina interna al “Corriere della sera” - e per la scrittura indecifrabile
di Ferrarella. Si può fare finta di nulla per mesi e anni, ma poi, certo, del processo
va data notizia.
Per l’anniversario della
strage di Capaci quest’anno non ci sono i parenti a seminare dubbi e accuse, ci
sono i due cronisti principe della giudiziaria, Abbate e Bianconi. Abbate fa
tesoro dei “qui lo dico, e qui non lo dico” tipicamente mafioso di Messina
Denaro con i giudici. E si può capirlo, Abbate è per lo Stato-mafia. Bianconi,
che pure è cronista “di peso” – di cose pesate – fa però di peggio: per
scagionare i neo-indagati per le stragi e per gli appalti di mafia, Natoli, Pignatone
e Scarpinato, giudici emeriti di Palermo, accusa i testimoni d’accusa, Mori e De
Donno, ufficiali superiori dei Carabinieri. Che del “dossier” mafia-appalti da
loro compilato sono stati vittime per decenni, in un processo istruito dai
giudici dello Stato-Mafia, di cui si è potuto dire che era “una boiata
pazzesca”, e nel quale infine non si è potuto non assolverli. Questa è un’aggravante,
inficia la testimonianza?
Il
brigantaggio era anteriore all’unità
Nella
raccolta di saggi storici cui ha messo il titolo di “Calabria, paese e gente
difficile”, Giuseppe Galasso dà una lettura diversa del brigantaggio. Lo fa
sotto il titolo “Al tempo dell’unificazione italiana”, probabilmente l’ultimo scritto
in ordine di tempo della raccolta, che pubblicava nel 2015 – con molteplici
riferimenti a Michele Fatica, “La Calabria nell’età del Risorgimento”, un testo
confluito nella “Storia della Calabria Antica e Moderna”, a cura di Augusto
Placanica. Diversa da quella postunitaria, di un “sanfedismo reazionario
sobillato dai borbonici e dai clericali”. E da quella post-bellica, post 1945,
“di una guerra sociale, dei poveri contro i ricchi”. Da storico rileva che “si
trattava di alcune delle più vecchie manifestazioni di disagio e di devianza
sociale, antica di secoli, che si produceva nelle due forme tradizionali della
“crassazione da passo” nei luoghi più favorevoli ad essa (da Campotenese al
passo delle Crocelle, dalla Cupa di Tiriolo al Passo del Mercante, a tanti
luoghi dell’Aspromonte, ma in effetti un po’ dovunque) e del sequestro di
persona, o del biglietto a scopo di estorsione”.
Tutte
forme che si possono testimoniare attive nel secondo Noveento – compresa la
“crassazione da passo” nell’immediato dopoguerra, passati gli Alleati, tra il 1945
e il 1946.
Solo
ultimamente tutte queste forme sono state sostituite dal traffico delle droghe.
La teoria
del regresso
Non si fa
molto caso nelle storie del concetto di regresso, in opposizione al progresso –
di cui invece molti si discute. Ci sono le civiltà scomparse. Ci sone le
“cadenze”. Non c’è il regresso, che invece concettualmente molte esperienze può
provocare, e soprattutto spiegare. Con applicazioni anche pratiche, specie per
le dottrine dello sviluppo, socioeconomiche.
Un
concetto che sarebbe utile, p.es., a spiegare come alcune regioni dell’Italia,
in particolare la Calabria e la Sicilia, pur facendo parte della sesta o
settima economia più ricca del mondo, siano agli ultimi posti fra le quaranta
“regioni” socio-economiche censite dalle statistiche europee. Si farebbe un
grosso passa avanti nella teoria dello sviluppo introducendo, prendendo in
considerazione, le resistenze emergenti dal “regresso”. E cioè dalla perdita di
status e di condizione rispetto al passato, alle mentalità, alle
abitudini sociali e di consumo. Che sono forme interiorizzate, quasi
inestirpabili, di resistenza al “progresso”. Alla crescita economica, che è
quanto di più contemporaneo e anzi avveniristico si dia, e quindi alla
“crescita” (adeguamento, aggiornamento, spirito d’impresa, d’innovazione,
d’avventura) sociale e culturale. E si danno, per le stesse regioni, ma nelle
forme dello sradicamento, fuori di esse e lontane dai loro modi di essere,
pensarsi, portarsi, proporsi.
Old Calabria
Oggi vittima della neo nomea
mafiosa, che scoraggia le migliori intenzioni, la Calabria lo è stata a lungo
dell’esotismo, del “viaggio” mentale più che pratico. Denunciato dagli scrittori
calabresi che approdavano alla scena nazionale un secolo fa. Propensi invece
all’opposto. “Calabria, paese e gente difficile”, il titolo del suo ultimo
lavoro, Giuseppe Galasso, lo storico che più di tutti ha indagato negli archivi
sulla egione, ha tratto dalla conferenza “La Calabria”, che Corrado Alvaro
tenne al “Lyceum” di Firenze nel 1931. Con la conclusione, desolata più che fattuale:
“La Calabria fa parte d’una geografia romantica”, del Romanticismo – faceva parte.
Ad Alvaro Galasso aggiunge un
altro titolo di scrittore calabrese, Leonida Répaci, “Calabria amara”. Mentre
per converso il romanticismo richiama “l’eccellenza, che si dava per scontata,
cioè per indubbia e risaputa”, dell’ultimo e più lusinghiero “viaggio in
Calabria”, quello famoso di Norman Douglas, 1914, “Old Calabria”. Dove “old”
sta per “una terra affascinante, ammaliatrice, evocatrice di suggestioni irreprimibili”.
Cui “si aggiungeva che la sua eccellenza era ritenuta antichissima e
convalidata dalle vicende di secoli e secoli di una storia, a sua volta, generativa
e costituiva del fascino, della malia, della suggestione irresistibile di quel
paese, la Calabria”.
“La Calabria è un mistero?”
L’interrogativo è l’esordio di Galasso, l’introduzione alla raccolta. Che
giustifica: “L’interrogativo ricorre più volte nelle pagine dei viaggiatori e
visitatori”. Vivendoci non si direbbe. Ma il disorientamento c’è, si vede, si
sente. Alimentato se non provocato da una serie di “terremoti” socio-politici
subiti da quando esiste come regione amministrativa. Da ultimo, ma è già un
quarto di secolo, l’etichetta mafiosa che i servizi segreti le hanno appiccicato
l’ha segnata. La funzione pubblica, che altrove si rafforza col tempo, per
inevitavbile mutazione – “selezione naturale”- della politica, vi s’indebolisce sempre più. Nell’amministrazione,
nella sanità, nelle opere pubbliche, e quindi nella promozione, o l’immagine. Come
si può toccare con mano incontrandone i politici. Un degrado palpabile.
Un’eccezione, anche, nel corso
“naturale” della storia, che in regime democratico è sicuramente per il progresso,
lo sviluppo, la creazione e non la distruzione.
Cronache della
differenza: Napoli
Dunque, spiega Mauro
Bellinazzo sul “Sole 24 Ore”, il Napoli calcio non soltanto ha vinto lo scudetto,
è anche “un unicum nel panorama sportivo italiano ed europeo per la gestione
dei conti, quasi 4 miliardi di ricavi e 150 milioni di utili”. Dunque, il
meglio si può fare anche a Napoli.
“Si potrebbe citare”, aggiunge
Bellinazzo, “per l’equilibrio dei conti e la redditività l’inarrivabile Bayern Monaco, che però tra i soci annovera colossi
come Audi, Allianz e Adidas”. Si può fare, anche al Sud, per un capitale d’ingegno.
L’eroe del
Napoli calcio è quest’anno un finora sconosciuto ragazzo scozzese, McTominay. In
passato lo sono stati
Kvaraskelia e Osimhen, il trio dei “piccoletti, Mertens, Insigne, Callejon, il
centravanti argentino
Gonzalo Higuaìn – senza contare naturalmente Maradona. Tutti atleti che fuori di
Napoli sono praticamente
“scomparsi”. Il calcio è sport popolare, cioè di popolo.
Uno di quasi due metri, questo
McTominay, svelto come una lepre, rigenerato, moltiplicato, a 26 o 28 anni. Un
miracolo, un altro. Perché non sarebbe Napoli la città dei miracoli – ci crede
ma se ne vergogna?
È anche
vero che la città si è dati per lo scudetto tre giorni di festa – senza contare
gli anticipi: sabato,
domenica, e anche lunedì, quando altrove si lavora. Martedì non
più, perché la festa si trasferisce a Roma, in udienza speciale dal papa – papa,
san Gennaro…Manca
sempre qualcosa a Napoli, per il decollo.
Uno di quasi due metri, questo
McTominay, svelto come una lepre, rigenerato, moltiplicato, a 26 o 28 anni. Un
miracolo, un altro. Perché non sarebbe Napoli la città dei miracoli – ci crede
ma se ne vergogna?
È anche vero che la città si è dati per lo scudetto tre giorni di festa – senza contare gli anticipi: sabato, domenica, e anche lunedì, quando altrove si lavora. Martedì non più, perché la festa si trasferisce a Roma, in udienza speciale dal papa – papa, san Gennaro…Manca sempre qualcosa a Napoli, per il decollo.
Dunque Creuzé
de Lasser, 1806: “L’Europa finisce a Napoli, e vi finisce anche assai
male. La Calabria,
la Sicilia, tutto il resto è Africa”.
Ora, chi era Creuzé de Lasser?
Un “amabile scrittore”, contemporaneo minore di Stendhal e, al contrario di Stendhal,
un “napoleonico” rifiutato, proprio per questo suo “Viaggio in Italia” - all’Imperatore
non era piaciuto. Ma è come per Gladstone, la frasetta è una pietra tombale.
Si dice Napoleone, Murat, il Regno
come una meteora illustre, una pratica virtuosa, una promessa, ma poi la leva e
i dazi non li levava nessuno. Specie dopo l’incameramento della manomorta, con
la quale, quando era in mano agli ecclesiastici, si provvedeva all’assistenza
ai poveri e ai malati indigenti. Gioacchino ebbe subito la ricetta, un Trump d’antan:
nuovi dazi sui generi di consumo in entrata a Napoli.
Muore il maestro De Simone, un
gigante, alto anche di statura, quello che, tra le altre cose, rivoluzionò la
commedia musicale con “La Gatta cenerentola”, il maggiore successo teatrale
(insieme con Eduardo e con Dario Fo) del dopoguerra, napoletano verace che per
Napoli “non esisteva”. In vita, figurarsi in morte: niente lutti cittadini, commemorazioni,
celebrazioni.
Nell’occasione Valerio Cappelli fa
rivivere sul “Corriere della sera” una confidenza dello stesso De Simone: “Ma
si sa che la Gatta Cenerentola fu finanziata dalla Regione Emilia Romagna e non
dalla Campania?”. Anzi, due confessioni: “Sono stato cacciato, messo
nell’angolo, dalla sinistra e dalla destra”.
È musicale ma,
ricorda Peppe Barra in morte di De Simone: “‘La Gatta Cenerentola’ è stata una rivoluzione. Gli spettatori non
avevano visto fino allora allegorie e culture popolari rese in quel modo, ma
negli anni Settanta non si erano nemmeno mai ascoltate villanelle, strambotti,
tammurriate”.
L’albergo di Capua – “nell’antico palazzo dei Fieramosca, anzi, come qui
dicono, e il nome suona più tremendo, Ferramosca” – Antonio Baldini trova nel
1930 (“L’Italia di Bonincontro”, 115) “gran casone con gran protone, gran
scalone con gran finestrone. Meridionalone”.
leuzzi@antiit.eu
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