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giovedì 26 giugno 2008

Le intercettazioni cancro della repressione

Le intercettazioni sono opera di quelli che una volta si chiamavano sbirri, ed erano guardati con sospetto e sdegno dai Carabinieri e nella Guardia di finanza.
Un ufficiale della Guardia di finanza o dei Carabinieri – la Polizia cospicuamente se ne tiene fuori, dopo la demilitarizzazione - apre, con l’ausilio di una lettera anonima, che più spesso si scrive, o di una “confidenza”, sempre anonima, l’indagine che ha deciso di effettuare. O anche un sottufficiale, con le famigerate Note di servizio nelle quali un capo stazione può scrivere tutto, senza obblighi di prova Dopodichè due strade si aprono. O si cerca da un procuratore della Repubblica in sintonia l’autorizzazione alle intercettazioni - per un mese, ma nessuno poi controlla se durano anni com’è l’uso. Oppure l’ufficiale o il sottufficiale procede in autonomia, anche con le intercettazioni, e poi si cerca un procuratore della Repubblica che ne sia ghiotto e le spesi. Si conoscono almeno due dossier di grande eco che hanno girato mezza Italia prima di approdare alla Procura compiacente.
Non un casalese è stato arrestato e condannato grazie alle intercettazioni, uno di quei terribili personaggi che da due anni ingombrano le librerie. Né un mafioso. Nemmeno gli incredibili latitanti trenta e quarantennali, anche se hanno fatto numerosi figli, li hanno avviati agli studi o alla professione, hanno sposato le figlie, hanno condiviso i matrimoni, i battesimi e le malattie in ospedale della famiglia, sempre numerosa, eccetera. L’unico sequestro di persona nel mitico Aspromonte in cui sono state usate le intercettazione, quello della signora Sgarella, ha dimostrato che la temibile Anonima era una famiglia di balordi – il sequestro è stato l’ultimo, ma di intercettare i banditi non si è più sentito parlare, si rischia di prenderli? Le intercettazioni, nessuno della miriade di gialli che occupano le librerie ne fa caso. Né le dieci o dodici fiction investigative che si rifanno ogni anno in tv, di carabinieri, poliziotti, giudici, preti e guardiamarina, che per questo forse si ripetono con successo. Le intercettazioni, pure precise, sulla preparazione della strage di Duisburg non l’hanno evitata.
Un’intercettazione su cento, forse, si giustifica con ragioni d’investigazione. Le altre nascono e s’ingravidano all’insegna del dossier, la pratica sbirresca che condiziona la politica dagli anni del piano Solo – il ricostituente della Repubblica è il veleno, in forma di segreto, e appunto di ricatto. Ma l’origine è fascista. Si pubblicano telefonate di questo a quello, e indiscrezioni varie, di abusi, sessuali e non, licenze e inganni, in cui non è più il potere che attraverso i suoi apparati droga l’informazione. È la giustizia, con i giornali. Ma non è certo la libertà di stampa e il diritto all’informazione: il vizio è sempre quello delle veline di stampo fascista. Gli scandali politici venivano alimentati dal fascismo attraverso i giornali, ai quali il regime forniva in esclusiva le notizie e i materiali di corredo. La Repubblica naturalmente non è fascista, c’è la costituzione e c’è il mercato. Ma l’abitudine è rimasta: le prerogative costituzionali dei magistrati e il mercato convergono nel commercio delle notizie. Commercio non necessariamente a scopo di lucro, i magistrati non sono tombaroli – non sono ladri: a loro basta un semplice barbaglio di carriera, sociale e politica se non professionale.
Le intercettazioni, un tempo in sospetto per le deviazioni acclarate dei servizi segreti, sono dopo Mani Pulite il metodo d’indagine preferito: non ci sono più indagini ordinarie, o denunce documentate, né impegni precisi e delimitati dei responsabili di polizia giudiziaria. Sono un metodo sempre produttivo: se non c’è reato c’è sempre turpitudine, negli altri. Danno lustro: quante carriere sulle intercettazioni. E sono comode: piuttosto che lavorare, e magari rischiare, gli ex sbirri se ne stanno seduti, e danno appalti, a minisocietà d’informatica e tecnici del suono, il figlio, il nipote, l’amico del figlio, e a dattilografe, interpreti , specie dai dialetti, abili trascrittori. Poche centinaia di euro, ma questo è il grosso della corruzione in Italia.
Si fa finta, la sinistra fa finta!, in Parlamento!, nei tribunali!, che le intercettazioni siano opera di giustizia mentre sono, e tutti lo sanno, tutti!, opera di dossieraggio, cioè di spionaggio. Quanti cronisti non si sono visti offrire dei dossier completi? Con cassetta, con trascrizione rivista redazionalmente.
Non c’entra la giustizia con le intercettazioni, se non nel senso deteriore che essa ha acquisito in Italia dal processo a Sofri in poi, quasi vent’anni. Mentre tre gravi deficit di democrazia si sono con esse costituiti. Della legalità, sacrificata ai dossier. Della giustizia. Dell’integrità delle forze dell’ordine. Si conferma che la vera questione morale è in Italia, dal 1992, di chi si avvantaggia della questione morale. Di chi si pretende società civile che surroga la politica in ogni sua piega, dalle signore girotondine ai compagni reduci e a tutti i furbi: il combinato media-giustizia, con gli speculatori in veste di parroci e editori della questione morale, singoli e bancari.

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