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giovedì 16 dicembre 2010

L’apprendistato di Emerson in Italia

I primi cinque mesi del 1833 Emerson li passa in Italia, in Sicilia, e poi da Napoli alle Alpi. È un viaggio di formazione, benché compiuto a trent’anni: vedovo della prima moglie, e pastore dimissionario della Chiesa unitaria, il viaggio lo induce alle prime riflessioni, oltre che all’ammirazione delle opere d’arte della natura e dell’ingegno. Specie nella traversata da Boston a Malta, col comandante filosofo del brigantino, e con lo status quasi filosofico del marinaio. “Non ci sono attrattive nella vita da marinaio. Il meglio che sa offrire sono allevi azioni alle pene”. Il comandante sa fare tutte le cose che bisogna fare, compreso farsi obbedire all’istante, e sa tutto il resto, la Bibbia anzi meglio dell’ex pastore Emerson. Sa anche perché l’America è superiore all’Europa, lo sarà guardando al futuro dal 1833: “Lì fanno tutto per puro caso e ignoranza. Quattro caricatori e quattro stivatori del molo di Long Wharf caricano il mio brigantino più in fretta di cento uomini di qualsiasi porto del Mediterraneo”. Emerson ne riferisce un altro esempio: “Sembra che i siciliani abbiano provato qualche volta a portare la loro frutta in America con le proprie navi e che ci abbiano messo, dice lui, centoventi giorni”. Un viaggio che lui invece fa in trenta giorni, trovando “una piccola pozza di mare interno (lo stretto di Gibilterra, n.d.r.) larga appena nove miglia con la stessa precisione con cui si segue una traccia”, dopo tremila miglia di acque burrascose, col solo ausilio di “tre pezzi di legno angolari e una mappa”.
Nasce qui la felicità “a scalare”: si ponga la vita al peggio, ogni suo momento sarà migliore. - non è la perfezione ma è una forma logica: l’attesa è un solido costituente della realtà. E uno dei fondamenti del linguaggio: “Ciò che è espresso nelle parole non è affermato. Deve affermarsi da sé o nessun tipo di grammatica o di verosimiglianza può provarne l’evidenza. Questa massima tiene insieme il mondo”.
Il libro di viaggio non delude, benché pieno di Schidone, Garofalo, Andrea Sacchi e altri artisti pittori d'immaginette - nella visita ripetuta a San Giovanni a Malta si menziona Preti e nient’altro, nemmeno un cenno a Caravaggio. Emerson sa abbastanza italiano, l’ha imparato sui “Promessi sposi” e su una scelta di commedie di Goldoni che non apprezza (“Non c’è nemmeno un’emozione o una scena ben concepita. La sua virtù maggiore consiste nell’essere un buon volume idiomatico”), e sa rappresentare scene ancora vive della Sicilia, di Napoli, di Roma.
Apprezza anche il cerimoniale cattolico, reduce dalla delusione di quello protestante. Flannery O’Connor, la combattiva scrittrice georgiana che professava un robusto cattolicesimo, ha lasciato scritto (“Narratore e credente”): “Quando Emerson, nel 1832, decise che non poteva più celebrare l’Eucarestia a meno che non venissero eliminati il pane e il vino, fu fatto un passo importante nella vaporizzane della religione in America”. Che dobbiamo pensarne?
Ralph Waldo Emerson, Dalla Sicilia alle Alpi, Ibis, pp.204, € 9,50

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