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venerdì 23 marzo 2018

Il mercato dei ladri di identità

Facebook contro Cambridge Analytica è una guerra di ladri. Non c’entra la democrazia né la legge, al più la buonafede in commercio. Ma di commercio si tratta, non cristallino in entrambi i soggetti.
Dietro le esibizioni di moralismo, e la pregiudiziale politica (si fa un caso perché i dati rubati sono stati venduti a una campagna elettorale di destra),  la verità è che Cambridge Analytica ha rubato a Facebook i dati che Facebook ruba a ogni momento ai suoi iscritti. Con diritto: Facebook questo è e dichiara di essere, un’azienda di promozione pubblicitaria, e una piattaforma di pubblicità. La più grande forse che ci sia, e suppostamente mirata. Cioè efficace, grazie alla messe di dati che riesce a raccogliere sui suoi utenti, e quindi alla loro profilazione come clienti.
La relazione sulle elezioni del 4 marzo presentata da Ipsos Flair (Nando Pagnoncelli) al Cnel ne è involontaria testimonianza. Ipsos spiega che le percezioni sono state all’origine del terremoto al voto. Ma questo è inevitabile: si vota, quasi sempre, d’impulso. Pagnoncelli vi aggiunge con molti ragionamenti l’inevitabile corredo di “fake” – per la campagna elettorale, per la propaganda, per i social media. Mentre questa è la normalità. Abbiamo avuto la pubblicità di strada, coi manifesti. Quella di piazza, con i comizi. Quella radio-televisiva ormai da decenni. Abbiamo quella digitale. Più mirata? Perché più efficiente. Alle famose elezioni pasquali del 18 aprile 1948 il Pci si presentava sotto l’immagine di Garibaldi, e col messaggio che Cristo era risorto con la bandiera rossa: un fake, due fake?
Si giunge a una conclusione “critica” se si considerano i “social”, Facebook in testa, come testimoni di verità, prima che come veicolo pubblicitario. Che non è molto brillante, prima che falso.  

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