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giovedì 22 marzo 2018

Moro senza mito

“Bayle credeva che una repubblica di buoni cristiani non potesse durare. Montesquieu correggeva: «Una repubblica di buoni cristiani non può esistere»”. Ma una repubblica di buoni cattolici italiani può esistere e durare. Così”.
Si ristampa, per i quarant’anni dell’assassinio di Moro, lo scritto a caldo che Sciascia pubblicò cinque mesi dopo il fatto, con l’aggiunta cinque anni dopo della sua relazione di minoranza (“di assoluta minoranza”) alla Commissione d’indagine parlamentare. Un controcanto: Commoso ma critico.
Sciascia non lo dice mai, ha rispetto per il morto. Ma la mancata liberazione di Moro fa apparire una farsa: la scoperta dello Stato a opera di chi non ne ha mai avuto il senso. Scrive distaccato. Dialoga con Borges e con Savinio. Introduce il libro con Pasolini, la sua arringa contro il “Palazzo”, contro la Dc. Argomenta sospettoso l’avvento progressivo dell’apposizione “statista”, per il prigioniero e poi per il morto: una traduzione, ripete, chissà, del segretario dell’Onu, del presidente Carter. E al terzo capitolo attacca la mitizzazione incipiente: “Moro non era stato, fino al 16 marzo, un «grande statista». Era stato, e continuò ad esserlo anche nella «prigione del popolo»,  un grande politicante: vigile, accorto, calcolatore; apparentemente duttile ma effettualmente irremovibile”. Un duro. “E con una visione delle forze, cioè delle debolezze, che muovono la vita italiana, tra le più vaste e sicure che uomo politico abbia avuto”. Titolo di merito? A Sciascia fa venire in mente il maresciallo Kutuzov, quello che sconfisse Napoleone ritirandosi, nella caratterizzazione di Tolstòj in “Guerra e pace”. Ironico, distante. Anche Moro: “A vederlo sullo schermo della televisione, Moro sembrava preda della più antica stanchezza, della più profonda noia. Soltanto a tratti, tra occhi e labbra, si intravedeva un lampeggiare d’ironia o di disprezzo, ma subito appannato da quella stanchezza, da quella noia”. Anche di persona era così, si può testimoniarlo, al seguito nei suoi viaggi. Da ministro degli Esteri, totalmente ininteressato ai suoi interlocutori. La posizione estera dell’Italia non rientrava nel suo “Stato”.  
Sciascia seguita ricordando il discorso di Moro alla Camera in difesa dell’onorevole Gui per lo scandalo Lockheed – il discorso del “Non ci processerete nelle piazze, non ci lasceremo processare”. Riducendolo sarcastico a sillogismo: “la Libertà e l’integrità del paese sono intangibili, la Democrazia Cristiana rappresenta la libertà e l’integrità del paese; la Democrazia Cristiana è intangibile”.
Non sono passati quarant’anni dal libro, ma sembra di un altro mondo. Uno Sciascia redivivo se ne sarebbe sorpreso – era scettico ma non tanto: oggi il democristianesimo impera, semza i buoni cattolici. Senza nemmeno una voce critica, l’intellettuale è scomparso. Con Montesquieu e ogni altra teoria dello Stato..  
Leonardo Sciascia, L’affaire Moro, Adelphi, pp. 197 € 11

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