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sabato 20 novembre 2010

Affrettare le elezioni, letali per l’opposizione?

Né Berlusconi né i suoi si sono mostrati particolarmente interessati alla compravendita di deputati per rifare la maggioranza. Ottenuta la possibilità di sfangarla ancora per un mese, puntano alle elezioni in febbraio o marzo. Bossi non è solo, anche Berlusconi è sicuro di rivincerle. Per di più liberandosi, dopo Casini, anche di Fini: tutto il Nord e (quasi) tutto il Sud, con l’esclusione forse della Puglia, lo rivoterebbe.
È un paradosso, ma non troppo, degli ultimi sviluppi. Il governo tecnico, o di minoranza, o di emergenza, insomma il ribaltone, ammesso che Di Pietro vada a votare con Fini (a “reggergli la candela”, come dice l’ex giudice), è prerogativa del presidente della Repubblica. E Napolitano non vuole passare come l’altro presidente che scioglie le Camere quando vuole. Ma sa anche che, se non ci sarà più fra un mese il governo Berlusconi, non ci potrà essere il governo tecnico o di emergenza, senza Berlusconi. Cioè, non c’è alternativa, a meno che Berlusconi non decida di attivarsi con la compravendita.
E qui interviene l’altro paradosso, che si corrobora e si eternizza, quello della sinistra vittima della sua stessa propaganda - che è una maniera per dire che è rappresentata da incapaci: con tutto l'odio e il disprezzo per Berlusconi, incapaci di opporgli una benché minima mossa. La campagna contro la compravendita porterà alle elezioni fra tre mesi. Che è ciò che la sinistra assolutamente non dovrebbe fare: affrontare una campagna elettorale divisa in una diecina di pezzi, dato che rientrerà in gioco la sinistra cosiddetta alternativa. Con un partito Democratico in piena bagarre – mai partito ha sentito così forte il peso dei localismi. E con un Centro polimorfo, Fini-Casini-Rutelli, che potrebbe non mordere nell’area berlusconiana, e quindi non portare voti, mentre pone sicuramente problemi di desistenze e apparentamenti, seppure informali.
Una sinistra peraltro che, con la comparsata di Fini e Bersani da Fazio, due povere veline seccagne, è in realtà succube del modo di essere dello spettacolo. Che tutto risolve in una sghignazzata, eccetto il voto. Delle manifestazioni continue, senza nerbo, rituali, prima la scuola, poi la Fiom, poi magari la Cgil, poi le insegnanti della scuola. E delle primarie. Un totem adottato nell’americanizzazione veltroniana affrettata del partito Democratico, ma senza regole e senza succo: le vincono solo le minoranze, normalmente più organizzate. Costo del lavoro? Mercato del lavoro? Produttività? Concorrenzialità? Perequazione della previdenza? Politiche dell’immigrazione? Sprechi e inefficienze della Pubblica Amministrazione? Sono cose che farebbero crollare la audience.

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