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sabato 2 gennaio 2016

Erdogan in libertà vigilata

Sostenuto dalla Germania, avversato dalla Russia, in freddo con gli Usa, Israele e la Nato, Erdogan si tiene su con la guerra ai curdi. Solo con la guerra: è come un condannato, o un sorvegliato speciale, con la condizionale. Le forze armate, che per molto meno vent’anni fa forzarono l’evizione del suo predecessore Erbakan, il primo capo di governo turco dei Fratelli Mussulmani, sono in attesa – si direbbe in agguato.
A conclusione della crisi siro-irachena, dove si gioca oggi, alle frontiere turche, con l’assenza cospicua della Turchia, e terminato il “lavoro” nel Curdistan iracheno, l’affondo militare contro la guerriglia, Erdogan potrebbe dover pagare il conto. Che intanto si accumula, tutto a debito: il passo indietro imposto alla democrazia elettorale e alla libertà d’espressione, l’abuso della polizia segreta, l’isolamento in politica estera nello schieramento occidentale, non bilanciato dai contatti con le monarchie arabe del Golfo. Il progetto di riforma del regime, nel senso di un presidenzialismo senza contrappesi, potrebbe essere la pietra d’inciampo.
Il presidente turco ha perduto di colpo, dopo la vittoria elettorale appena un paio di mesi fa, il capitale politico che aveva accumulato in vent’anni. Da sindaco popolare di Istanbul per il partito di Erbakan, poi da vittima di una esecuzione giudiziaria quando Erbakan cadde in disgrazia, con una breve carcerazione e un processo senza fondamento, e una serie di elezioni vinte. Mentre alcuni eventi ricalcano quelli che portarono alla rovina di Erbakan. In particolare gli attentati non chiari, anche a Istanbul, contro i civili curdi. Allora imputati a una fantomatica organizzazione Hezbollah, che si suppose costituita da elementi radicali islamici manovrati da infiltrati dei servizi segreti.   

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