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domenica 27 dicembre 2015

Letture - 240

letterautore

Woody Allen – Si rivela gran filosofo in “Irrational Man”, film filosofico. O meglio si dichiara, filosofo lo è sempre stato, la sua comicità è filosofica – dal tempo di “questa è una vapina: riflessiva, sui Grandi Temi. Candidato all’Oscar col titolo derridiano-heideggeriano “Deconstructing Harry” vent’anni fa – “Harry a pezzi”. Ma più nei testi scritti che al cinema. La metafisica è incomprensibile ma non fa male, anzi, scriveva quasi mezzo secolo fa sul “New Yorker”, Kierkegaard ci si divertiva. E ipotizzava, sulla stessa rivista, che Schopenhauer negli ultimi anni divenne sempre più pessimista perché si accorse di non essere Mozart. Poneva cioè problemi filosofici, spaziando da Hegel a Pascal. 
Ma tutti i plot dei suoi ultimi film sono filosofici, perfino presocratici, tra misteri e tragedia greca, la serie “alimentare”, sulle città europee del turismo di massa, Londra, Parigi, Barcellona  e Roma - la sua vera celebrazione di Parigi è quella del Leipzig Anxiety Festival di qualche decennio prima, il festival della filosofica ansia.

È uno che rifà sapiente John Fante, l’iperrealismo caricatura del realismo: la straordinaria irrealtà del reale. Non realista, non del realismo, neo o vetero, italico, sovietico, lagnoso, censorio, dei migliori-di-Dio-e-del-mondo, stanchi perché sazi, nato col verismo nella Belle Époque opulenta, che s’ammanta di Verità Ultime, più spesso la rivoluzione e il bagno di sangue – dimenticato, ma in auge fino all’altro ieri. Salvando la fantasia, che il reale lega liberamente, per gioco: la letteratura.

“La prova che Dio non c’è è che le ragazze più belle sono quasi sempre le più noiose”, è estetica non male.
O la verità su Freud, che a tenerlo su è l’industria dei divani.

Germania – Ha un senso di identificazione fortissimo. Che attrae ugualmente molto, anche i più avversi, quali si potrebbero pensare gli ebrei, gli slavi, nonché i suoi nemici storici, la Francia e l’Inghilterra. Di identificazione fino alla perdita del senso critico, che pure alla filosofia tedesca si appella e di cui la Germania si fa bandiera. Non è un caso Hannah Arendt, “Sulla rivoluzione”, che la seconda guerra mondiale propone di considerare “una forma di guerra civile che abbraccia la terra intera”, piuttosto che condannare la “sua” Germania. Innesca rifiuto oppure adesione come tutto, ma in forma sempre acuta, quasi agitata, e radicale.
Le traduzioni dal tedesco si sottolineano costantemente con l’originale, anche da germanisti perfettamente bilingui, siano essi italiani che inglesi o americani o francesi o spagnoli, come di una perfezione altrimenti irraggiungibile: una dipendenza psicologica. Mentre si traduce liberamente da altre lingue, anche da quelle concettualmente (semanticamente) diverse, come il cinese e lo stesso russo, pieno di parole-concetti intraducibili, e non solamente per la sintassi e le parole composte. E con un rispetto unico per questa presunta indefinitezza del tedesco, come di un esoterismo. Ma allora confinante con la sacralità e non con la magia, che altrove e altrimenti invece indispettisce, come un trucco.
La dipendenza è specialmente forte, assoluta, per l’“esattezza” – la lingua, il prodotto, la burocrazia, le persone, l’etica del lavoro, la politica, tutto è in Germania curato, preciso, esatto. L’esattezza come sinonimo di perfezione. Che invece non c’è e non si può dare, e il tedesco stesso non ci ambisce. Come testimoniano tante fraudolenze, e la stessa filosofia tedesca, non esattamente esatta – è il suo vanto.  

Specialmente tedescofilo si può dire anzi l’ebraismo, anche dopo l’Olocausto – Hannah Arendt non è isolata. Il solo ebreo tedesco che abbia rifiutato la Germania, Gershom Scholem, è tenuto in punta di bastone e quasi per apostata, come un fuorilegge o un eretico – uno che rinuncia a un’eredità così cospicua.
A Tel Aviv e Gerusalemme, fino agli anni 1970, prima dell’immigrazione dalla Russia e dai paesi arabi che ha rivoluzionato la composizione demografica e sociale di Israele, si parlava yiddisch – e ladino - più che ebraico.

Agamben sembra attribuire gran peso, in “Stasis. La guerra civile”, al sipario “alla tedesca”, che si chiude(va) sollevandolo invece che abbassandolo. Ci vede il teatro che viene dalla terra come usava in antico, e non dal cielo. Ma, poi, dà conto di qualche incertezza - tanto più che il sipario oggi si apre orizzontalmente, da e per il centro: “Non è sicuro che sia possibile attribuire un senso a questi cambiamenti nella manovra del sipario”. 

Italiano – Il carattere Dickens assomiglia ai “fiumi di montagna” (nell’articolo “Giù con la marea”, ora nella raccolta “Guardie e ladri”), che “in Italia sono come il loro spirito nazionale: ora assai docili, ora sfrenati improvvisamente a rompere gli argini, ora di nuovo a calare”.

Incipit - Bulwer-Lytton, lo scrittore prolifico di romanzi storici, coevo e concorrente di Walter Scott, è dimenticato, tra le altre cose, perché autore di “era una notte buia e tempestosa”. Ma Dickens lo pasticcia senza infamia - “Guardie e ladri”, p. 215: “Era una notte assai buia di freddo pungente”.

Libro – Torna di carta, dicono le statistiche. Anche perché gli editori hanno soffocato l’ebook, con prezzi abnormi – benché i margini sull’ebook siano molto più ampi che su carta. Ma l’abitudine al libro pesa sempre, se la stessa Amazon apre librerie, con scaffali e pile di libri da sfogliare, materialmente - e Jeff Bezos, il padre-padrone di Amazon, il primo investimento che si è potuto permettere con gli ampi profitti lo ha fatto nella carta, comprandosi il “Washington Post”.
La diffidenza resta peraltro intatta sull’archivio: quello elettronico, qualsiasi blogger lo sa, dà poco affidamento - di reperibilità straordinaria, resta incerto per la tenuta, i supporti non durano un decennio.

Pasolini – Rifiutava da ultimo, lui nato maestro (i suoi anni felici, secondo Naldini), la scuola. Che si può rifiutare per tanti motivi. La modernità ha sradicato le masse, prima col salario, poi con la pensione, ora coi consumi. E la scuola, nata dallo stesso mito laico che alimenta il salario, la rendita e i consumi, ne è, forse senza malizia, il vettore: non rimedia alla disuguaglianza ma la riproduce. C’è sapienza, nella scuola istituzione, ancorché perversa. Ma Pasolini la rifiutava per sue mitologie autarchiche, di un mondo senza peccato e senza Dio - che non è  mai stato di nessuno, se non dei suoi sottili burattinai, che non sono le masse (è il nodo del male assoluto, del suo impossibile isolamento, o del piacere di fare il male).

O non subiva da ultimo la crisi dei cinquant’anni, ormonale? Invaso dalla pornografia, la dissoluzione in un lago di sperma, sterile. Lamentava la licenza, ma da vittima – la lamentava degli altri, ma evidentemente di se stesso, come del resto da prove narrative, il postumo “Petrolio” e altre. Vittima dell’iterazione, della compulsione a rifarlo, con chiunque, ovunque, in ogni situazione e posizione. Vittima anche della sua diversità, da intendere l’omofilia. Qui dando ragione agli omofobi, che l’omosessuale dicono sfondato e senza cuore, mentre è probabile che subisse l’incontinenza dei cinquanta, dell’età che fugge.
È impossibile amare i moralisti. Della sterilità dell’impegno si potrebbe fare un libro.

“È per l’Istinto di Conservazione\ che sono comunista”, ha ribadito in molte forme. In molte maniere opportunista – come di chi alla politica si adatta. Col modesto ma costante guardarsi allo specchio nelle occorrenze quotidiane. Agli inizi a Roma, per entrare nel cinema un giornale fascista gli è andato bene. Dove apprezzava del “Bell’Antonio” la sua propria sceneggiatura, e denigrava in quanto fascista l’ottimo autore del romanzo, Brancati. O “La dolce vita” elogiava in quanto film “decadente, provinciale, cattolico”.

Poesia – È molta, profluvia, diluvia, è facile e appaga – è il genere più praticato nell’autoeditoria. E in questo senso immortale: un bisogno di comunicazione-conservazione, di solito, la sottende. È la prima forma di espressione, già alle materne. Facile e anche troppo facile, legata al ritmo, con filastrocche, rime, ritmi, assonanze, ma anche no, a sorpresa, a caso. Spontanea e costruita. “Formativa” sempre, per contesti, linguaggi, pedagogie, siano pure “selvagge”, irriflesse.

letterautore@antiit.eu 

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