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mercoledì 30 dicembre 2015

Il gigantismo non paga, dismissioni

Dai “mergers & acquisitions” si torna agli scorpori? Dal gigantismo e le economie di scala al  piccolo e bello della qualità e l’efficienza? Studi e banche d’affari sono in fibrillazione per la nuova stagione che si annuncia: nuove filosofie si preparano, l’ambiente si sta rapidamente ricostituendo con gli scandali, l’altalena costante nel mondo delle consulenze dice che è il momento di “innovare”, cioè di cambiare, la tela di Penelope degli affari prende una nuova arricciatura.
Le grandi e grandissime banche non vanno più, dismettono – marchi, quote, sportelli. E anche i grandi gruppi industriali. Prima la Volkswagen. Ora la Toyota, che a VW contesta il primato del gigantismo. E non se la passa bene nemmeno General Motors, il gigante detronizzato da VW e Toyota – Marchionne è per questo aggressivo con la casa di Detroit, sta sulle spoglie. Dismissione è la parola d’ordine.
Volkswagen, che si era portata acquirente di tutti i marchi famosi, compresa Alfa Romeo, potrebbe dover vendere Audi. Mercedes, che per vent’anni, da quando si voleva comprare la Fiat, ha tentato l’ inserimento nei segmenti B e C del mercato, le cilindrate medio-piccole, si riconcentra sulle cilindrate robuste – dopo aver tagliato la diversificazione nella finanza. Toyota, declassata a titolo spazzatura per i conti a lungo falsi, si riconcentra chiudendo impianti – il gruppo giapponese non aveva diversificato i marchi.
Oltre che nelle banche e nell’auto, il ridimensionamento si annuncia anche nella tv e nel lusso. Qui per il necessario ridimensionamento dei principati della penisola arabica, dopo il calo del petrolio. Nella tv, Murdoch punta a crescere negli Usa, monetizzando le società europee di Sky. Per ora in Gran Bretagna, ma anche le attività in Germania e in Italia sono teoricamente in vendita. Restano fuori dal mercato delle dismissioni, per ora, solo in grandi gruppi commerciali.
Dopo l’epoca del gigantismo, tornerà quella del piccolo è bello? È un’altalena ciclica. Con pochi o nulli effetti sui mercati e sull’occupazione. Più che un cambiamento epocale, o di filosofia, o di ideologia, è il fatto delle banche e gli studi professionali d’affari. Che il movimento agitano ora in un senso – con tanto di carte a corredo – ora nell’altro – sempre con carte di evidenza.

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