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venerdì 29 febbraio 2008

Fine civiltà in Libano, tra Siria e Arabia

Il Parlamento si appresta a rinnovare le spese per i militari italiani “in missione di pace” che in Libano vuol dire terra bruciata per i cristiani. La diplomazia europea ha miseramente fallito nell’ultima enclave civile e cristiana del Medio Oriente. Anche la diplomazia italiana, che negli anni Ottanta aveva avuto un ruolo decisivo per salvare gli (ultimi) cristiani, ora è palesemente senza bussola. Mentre il paese è, altrettanto palesemente, nella morsa della Siria e dell’Arabia Saudita, che facendosi la guerra concorrono a eliminare i cristiani. L'Arabia, in veste di finanziatrice dello sviluppo, col "suo" premier Rafiq Hariri, poi asassinato dai siriani, ha scalzato molte posizioni economiche e finanziarie dei cristiani, e politiche dei siriani, ma ha tirato la Siria fuori dall’isolamento, consentendo la lunga presidenza del "cristiano di Damasco" Emile Lahoud, e aprendo a Damasco la porta degli Stati Uniti.
D’Alema ha presentato all'inizio, nell'affrettata conferenza di Roma, la missione italiana in Libano come una garanzia per i cristiani, più che per Israele – ufficialmente il contingente di pace ha funzione di cuscinetto tra gli Hezbolah libanesi e Israele. Ma in realtà la missione italiana non ha nessuna funzione – se non quella, utile chissà, di costituire una piccola rendita per chi riesce a far parte del contingente: una storia millenaria viene a finire nella violenza in Libano, e gli italiani faranno la figura dei difensori felloni.
Il Libano è un caso d’inversione delle coscienze, esemplare della confusione europea e italiana: si fa la faccia feroce agli islamici immigrati, di cui c’è un estremo bisogno, mentre si assiste in terra araba a ogni sorta di prevaricazione contro gli europei e gli occidentali, dal divieto di culto all’assassinio. L’appello è sempre più accorato alla polizia e alla faccia feroce, contro i poveri immigrati, mentre si è dimenticata la diplomazia, che caratterizza le popolazioni civili.

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