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sabato 15 maggio 2010

Il giustiziere giudiziario è stanco

“Tutti sanno che quando il giornalismo si confonde con l’organizzazione della menzogna è un delitto”. Simone Weil, “La prima radice”, p.43

C’è sempre voglia di giustiziere tra i cronisti giudiziari, che sono soprattutto donne. Ma con una percezione acuta nella fase attuale di essere delle pedine. Di giochi che non controllano e probabilmente non approverebbero. Killer a pagamento, ma pagati unicamente con informative. Che possono far male. E a favore di personaggi che magari li-le stimano, poiché moltiplicano le informative, ma si tengono riservati e non assicurano il futuro, non una carriera, e mai a nessuno una buona fama.
Le croniste soprattutto sono incerte, e anche insoddisfatte. Per questo si accusano a vicenda di aver sottratto documenti illegalmente, o di avere pubblicato informative che non fanno parte di nessun processo. Troppe bufale si accumulano. Da Firenze prima e ora da Perugia. E non da parte dei magistrati, che bene o male sono inamovibili e quindi soci sempre fertili. Ma da investigatori anonimi – chi trasmette l’informativa non è quello che ha deciso di darla. Il solito terreno putrido dei dossier, che lascia merda immarcescibile su chi lo pratica senza precauzioni, le redazioni pettegole hanno la memoria lunga.
Sono preoccupazioni della giudiziaria “di sinistra”, che è quella che con convinzione assume la violenza della logica Amico\Nemico, della all-out war, la guerra senza quartiere. Anche in singolo, con la guerra di corsa. Del fortissimo décalage culturale fra sinistra e destra fa ancora parte questo aspetto, la convinzione: la giudiziaria “di destra” non sa condannare a morte il suo nemico (Marrazzo, il sindaco di Bologna, l’addetto stampa di Prodi).
Per andare in prima pagina il-la cronista non si risparmia, e tuttavia sa che presto la stagione può essere sfiorita, sono ormai troppi i-le croniste giudiziarie che, spremute, sono state abbandonate all’anonimato, non le hanno fatte nemmeno capo servizio. La lista dei Quattrocento, dopo il barbiere di Sicilia, ha spernacchiato la giudiziaria in tutte le redazioni. Della ditta Anemone che faceva i lavori per il Vaticano, facendosi pagare a caro prezzo - e per gli affittuari del Vaticano naturalmente, ma questa pista, ben più ghiotta, è stata invece trascurata. Un dossier cavalcato con allegra disinvoltura dai giornalisti, i giornali e i telegiornali berlusconiani.
Il sospetto della giudiziaria “di sinistra” è di avere solo agevolato la “discesa in campo” di fini, di cui sta emergendo la mobilitazione sotterranea da tempo in preparazione. Nulla di più di una sensazione, ma in quel mestiere il fiuto conta. Questa è peraltro la sensazione migliore che l’ambiente respira. Il dubbio maggiore è di essere preda di piccoli trafficanti d’influenze.
La giudiziaria “di sinistra” viene dalla controinformazione, che dello smontaggio della verità (la decostruzione) ha fatto la sua arma, delle apparenze, dell’informazione ufficiale, sia pure filtrata dalle Procure. È un problema peraltro non nuovo: la controinformazione ha sempre avuto il problema delle fonti. Che in Italia non sono mai perfettamente affidabili, come nel Watergate, il padre della contro giustizia: le “gole profonde” qui si celano sempre, lasciando solo presumere superprefetti e generali dietro gli informatori, e il dubbio è ora che questi rappresentino solo se stessi.

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