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martedì 8 giugno 2010

Non è più monolitica la giustizia a Milano

Ci sono crepe nella giustizia milanese. Sicuramente nella giudicatura, i giudici sono sempre più esterrefatti dalla disinvoltura dei colleghi della Procura, e forse nella stessa Procura. Si rompe il solido unanimismo che ributta da anni il marcio sul resto d’Italia, coprendo il marcio milanese, e ciò che resta del Pci. I giudici che chiedono “un po’ di indagini” alla Procura sullo spionaggio Pirelli-Telecom potrebbero avere aperto una falla. La mossa era stata giudicata difensiva, un mettere le mani avanti di fronte al vuoto di indagini che la Procura ha presentato, a parte la condanna anticipata dei cattivi designati dell’affare, Tavaroli, Cipriani e Mancini. In quasi dieci anni di indagini, non si sono fatte intercettazioni, non si è analizzato il traffico telefonico tra la Sicurezza di Telecom-Pirelli e le aziende, si è volutamente omesso di analizzare la posta elettronica della Sicurezza stessa, non si è indagato in alcun modo il pur trasparente Oak Fund, il Fondo Quercia, nel quale i venditori di Telecom a Pirelli, Gnutti e Colaninno, gestivano parte delle enormi plusvalenze. Insomma, Telecom-Pirelli intercettava mezza Italia, ma questo solo per far divertire i tre cattivi - non è stata documentata alcuna attività estortiva. In Pirelli c’era un “conto del Presidente” Tronchetti Provera, attraverso il quale sono passati diecine di milioni, di cui il presidente disse di non sapere nulla, che non è stato indagato: niente irruzioni in questo caso della Guardia di Finaza, ma nemmeno la curiosità di sapere chi spendeva quei soldi senza giustificativo e perché.
Quanto è immorale la questione morale
Lo scandalo delle intercettazioni private è enaurme, ubuesco. Per due ragioni. Per quello che dice il giudice che condanna Tavaroli, Maria Panasiti. E perché, lo dice di passata lo stesso giudice ma ora è un fatto, la Procura non si muove. Il signor Terribilista Minale è come se non ci fosse, e i suoi collaboratori fanno finta di niente, pur di non indagare gli interessi che contano. Non è il solo scandalo acclarato infatti che la Procura di Milano non indaga. E non da ora, già dai tempi di Borrelli e della sua pretesa di agitare la questione morale. Il collocamento Saras. Il collocamento Tiscali. L’ammanco stratosferico Rcs. Dice: bisogna proteggere le aziende. Che azienda era Tiscali? Che azienda è Saras? E perché per molto meno Berlusconi invece è stato letteralmente seppellito da indagini e processi – parliamo di prima del 1994, poiché da allora Berlusconi, più furbo di loro, s’è messo a capitalizzare anche lo strabismo di questi giudici.
L’uscita di Tavaroli sabato su “Repubblica” ha aperto però un altro fronte: una parte dell’establishment giudiziario contro un’altra parte. Sicuramente la magistratura giudicante, forse anche una parte della Procura, se Edmondo Bruti Liberati, collaboratore di “Repubblica”, sarà il vice capo della Procura, ruolo al quale è stato già designato. All'apparenza non è così. Tavaroli, che ribadisce le solite accuse a mezzo mondo, patteggia una pena pesante, oltre quattro anni, rinunciando a difendersi nel processo. E il patron di “Repubblica”, Carlo De Benedetti, è un dichiarato avversario di Marco Tronchetti Provera, il padrone di Pirelli e, un tempo, di Telecom. Ma l’intervista si segnala per un mutamento di ottica: Tavaroli e “Repubblica” puntano sulla Milano che conta. Lo scandalo del calcio, dicono, è stato preparato nel 1992 dal bergamasco Facchetti, con un arbitro bergamasco suo amico. Inoltre, dicono, l’inchiesta sullo spionaggio è stata avviata subito dopo che Pirelli ha rilevato Telecom, nel 2002, ed è stata abbandonata subito dopo che Tronchetti Provera ha accettato di trattare con Bazoli la vendita di Telecom.
Prevale sempre il detto del non detto. Ma ora dal lato di Moratti e di Bazoli. Cioè della Milanno della Procura. Tavaroli qualcosa del resto la dice pure in chiaro, pur dichiarandosi colpevole di truffa e associazione per delinquere. Ora comincia il vero processo, dice, quello per rito ordinario a Cipriani.

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