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mercoledì 10 dicembre 2014

L'amore dell'Oriente

Tra le grate di un harem, che una circassa dagli occhi verdi buca, e la vita libera dell’amore, tra una guerra che avvicina e una che allontana, l’apprendistato erotico di un ufficiale della Marina francese, attento alla meteorologia. Attorno al 1880, quindi con molte tele di fondo e quadri di genere, mobilio per lo più, e abbigliamento. Tra Salonicco e Stambul, in una Turchia che l’ufficiale, la Marina e lo scrittore privilegiano nel conflitto con la Russia. Anche per i ritrovi che offre di adolescenti disponibili – maschi. Una storia dunque con tutti i sapori dell’esotismo, una mistica che imperverserà fino a Kessel e Lawrence d’Arabia.
In questo suo primo romanzo il futuro normatore dell’orientalismo, il ventinovenne Viaud-“Loti”,  celebra anche la democrazia “tutta islamica” delle frequentazioni miste. Al punto da far opinare ai Goncourt nel “Diario” e a Barthes - che l’aveva in antipatia - nel “Grado zero della scrittura” che Aziyadé sia un bel giovane. Ma è ben una donna – reale anche, si chiamava Hatidjé. E Loti è uno che, in giro spesso con la Marina, ovunque si sposava, dal Giappone ai Paesi Baschi, e qualche volta faceva figli.
No, la “colpa” di Loti è l’invenzione dell’Oriente, dopo il fumato Nerval. Tanto più che ad Aziyadé, che poi si porterà dietro nella bara, fa assicurare dal suo tenente di vascello: “Ti giuro, Aziyadé‚ che lascerei tutto senza rimorso: posizione, nome, paese, amici. Ma vedi, ho una vecchia madre”.
Già edizione di culto Franco Maria Ricci nel 1971, consigliato probabilmente da Borges, o da Giovanni Mariotti, il racconto è ritradotto e presentato per Leone da Luigi Marfé, con ampi riferimenti ai suoi continui successi. È vero. Ma c’è anche da dire che Loti e scrittore “squisito” per Mallarmé, e ha insegnato a scrivere a Proust - e a Gide, che aveva due anni più di Proust.
Pierre Loti, Aziyadé, Leone, pp. 217 € 12
Asterios, pp. 224 € 15

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