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giovedì 18 gennaio 2018

La verità su “la Repubblica”, atto primo

De Benedetti, ottantré anni, Scalfari novantatré, l’età conta. Ma l’editore contro il suo giornale è una primizia - che De Benedetti non presieda più l’editrice Gedi non vuol dire, i suoi figli sono lui. E con che animosità. Di uno che non sa vendere i giornali ma ne compra, da ultimo “La Stampa” e “Il Secolo XIX”.
Difficile trovarne la ratio. Che forse non c’è. Se non nella cattiva coscienza di uno che sa fare soldi coi soldi (Omnitel, che miracolo), appena mette mano a qualcosa di concreto la distrugge: Olivetti, Sorgenia, la Repubblica-l’Espresso. Uno che sa solo “fare i bilanci”, tagliando, licenziando, riducendo.
Ma nella foga De Benedetti ha detto la verità. Infine. Più o meno la verità, una prima tranche. “Io sono stato fondatore di ‘Repubblica’ con Scalfari: nel ’75 cercava soldi per fare un giornale, glieli detti io”. Questo non è vero, i soldi che contavano li misero (garanzie, fidejussioni, anticipi) Geronzi col Banco di Roma e l’Anic (Eni). “Scalfari dovrebbe ricordarsi quando, negli anni ’80, lui e Caracciolo erano tecnicamente falliti: misi 5 miliardi di lire contribuendo a salvarli”. Questo è vero, con qualche amnesia: i miliardi furono tre e non cinque, ma prestati a Scalfari e Caracciolo già sul bilancio 1978, per far fronte alla ricapitalizzazione dell’Editoriale, su nota di pegno, cioè su cambiale. “E ho dato un pacco di soldi pazzesco a Eugenio quando volle lasciare le quote”. Sarà, ma il pacco di cui si sa è quello volgare, avendo De Benedetti liquidato Scalfari e Caracciolo con la Cartiera d’Ascoli, una scatola vuota gonfiata precedentemente in Borsa per portarne il “valore” a quello delle quote dell’Editoriale la Repubblica-l’Espresso da trasferire a De Benedetti. Un modo elegante per dire che le note di pegno del 1978 avevano generato interessi composti mostruosi.
Un secondo atto è quindi necessario. Tanto più se “il pacco pazzesco di soldi a Eugenio” è altro che la Cartiera svanita. E forse un terzo, se il giornale, ferito nell’onore, troverà il coraggio di reagire. Le offese a “la Repubblica” sul palco di Lilli Gruber sono state molte: perdita di identità, mancanza di coraggio, ingratitudine. Anche qui con qualche amnesia: “Forse poteanno ringraziare per l’indipendenza che ho dato io a loro, e ci ho rimesso la Sme”. La Sme De Benedetti ce l’ha rimessa per il papocchio che aveva fatto con Prodi presidente dell’Iri, che con giudici normali avrebbe portato il presidente dell’Iri al carcere. E l’indipendenza, ma non era la bandiera di “Repubblica”?

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