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martedì 10 settembre 2019

La famiglia fa bene all’azienda, non sempre

Il capitalismo familiare, creato cioè e gestito in famiglia, con qualche manager esterno ma senza capitali altrui, non perlomeno per quanto attiene al controllo dell’impresa, ha avuto e ha utili funzioni. Sotto tutti gli aspetti: della produttività, della crescita, e anche del volto umano del capitale.  
Colli, professore di Storia d’impresa alla Bocconi, è un cultore della materia. Questo intervento è un adattamento del saggio pubblicato nel 2002 a Cambridge, “The History of Family Business”, in copertina un Gianni Agnelli giovinetto col nonno di profilo di spalle, cappello alto e pipa. Ha poi recidivato, sempre a Cambridge, dodici anni dopo, con Paloma Fernàndez Pérez, con una raccolta sostanziosa di studi sull’argomento, “The Endurance of Family Businesses: A Global Overview”
L’arcaico famigliare del titolo sembra adombrare qualcosa di, magari stimabile, meritevole di nostalgia, ma vecchio e sorpassato. Mentre è più che mai attivo, spiega Colli, e anche stabile. Nell’impresa piccola e anche nella grande. In America e in Germania più che in Italia - dove è risentito, pro o contro, in quanto s’incarna nella famiglia Agnelli. Dell’Italia è però il vero capitale, l’iniziativa del piccolo e piccolissimo imprenditore che osa in proprio, per numero e qualità di iniziative.
Con un limite, però, che Colli non rileva. E meglio s’illustra con la foto di copertina dell’edizione angloamericana: la “famiglia” vuole remunerarsi, e questo può minare l’azienda.
Fiat ha prosperato con due manager esterni, col professor Valletta in guerra e dopo, e con Marchionne. Che hanno avuto mano libera perché l’azienda era in difficoltà gravi. Tra i due supermanager Gianni Agnelli, che gode di ammirazione unanime per altre doti personali, ma sul piano gestionale ha portato il gruppo in situazione fallimentare. Per dovere-volere soprattutto “fare il dividendo” ogni anno per la “famiglia”. Pochi o nulli gli investimenti nell’auto, soprattutto acquisti e cessioni, e fondi pubblici a vario titolo, con accumulo di plusvalenze per il dividendo. Con due soli nuovi modelli di auto in quarant’anni, “Panda” e “Uno” – poi “Punto”. A opera di un manager, Ghidella, licenziato per fare posto a Romiti, il manager pubblico-privato del “fare il bilancio”. Una Fiat attivissima nel mercato politico ma in perdita costante di posizioni in quello automobilistico. I segmenti E e D, i più profittevoli, dapprima, e poi a rischio anche quelli delle utilitarie.
Con due limiti, anzi. L’altro è che troppe aziende, anche brillantissime, cessano col fondatore, quando non cura una gestione che perpetui il suo brillante avvio. Borghi per esempio, Merloni, Laverda - la serie è innumerevole.
Andrea Colli, Capitalismo famigliare, Il Mulino, pp. 155 € 13

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