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lunedì 4 maggio 2020

Più Stato meno Cina

Non sarà più lo stesso il mercato mondiale dopo il coronavirus. Non tanto per il virus – anche nel caso che le accuse americane contro la Cina avessero un qualche fondamento. Peseranno di più condizioni e considerazioni che nel corso della pandemia sono maturate, anche per effetto della stessa, o che il morbo ha evidenziate.
La Cina è l’eldorado degli affari. Ha continuato a esserlo perfino nella pandemia, vendendo ogni sorta di attrezzatura parafarmaceutica. È una sorta di cornucopia. Per affaristi anche di mezza tacca - il virus ne ha fatto emergere uno spaccato: basta una ditta di import-export, anche in nome proprio, e un indirizzo cinese (in Cina non c’è carenza di mediatori) per montare in poche ore un affare milionario.  E per ogni più onesto produttore: chi non vorrebbe poter vendere in un mercato come quello cinese, immenso, e anche ricco?
Ma più probabile è che la nuova crisi del lavoro – e del reddito – dopo le chiusure forzate di ogni attività in Occidente proponga una qualche forma di redistribuzione mondiale della “catene di produzione” mondiali – cioè asiatiche. Ottocento milioni di persone, non contando la Russia, non possono continuare nell’impoverimento progressivo: l’impoverimento, relativo e anche in assoluto, potrebbe essere stato precipitato dal coronavirus nell’insostenibilità. Anche se larghi settori di affari  di ogni tipo ci prospera.
In Italia, cinque milioni di poveri in qualche modo sono stati affrontati, dopo i due-tre milioni di licenziamenti degli anni 1990. Ma dieci milioni non sono una prospettiva sostenibile. Né un bambino su cinque denutrito in Gran Bretagna. L’economia degli affari finisce per non essere più un’economia, ma un imbuto che risucchia.
La globalizzazione ha avuto sinora effetti moltiplicativi, in un quadro globale.  Gli artefici della globalizzazione – gli Stati Uniti anni 1980 – ci rimettono sempre più globalmente. Anche se grossi e potenti settori ancora ci prosperano, specie le banche d’affari. Ci sarà, è necessaria, una nuova divisione del lavoro, con Trump e senza Trump.
In Europa il problema è confuso, come tutto. Ma è chiaro in Gran Bretagna, che per questo si è smarcata dalla confusione europea. E nella stessa Germania che conta, a partire da Volkswagen, che pure ha in Cina il suo maggiore mercato singolo – ma non il più profittevole. Il programma di von der Leyen, di emancipare l’Europa dalle “catene di valore” cinesi per il digitale e l’ambiente andava già in quella direzione, prima del virus. Lo statu quo ha interessi robusti, ma è solo ovvio prevedere che anche l’Europa si collocherà sulla linea americana, che s’impersona in Trump, ma continuerà anche senza.
Al pettine la “rivoluzione” di trent’anni fa, con l’outsourcing e la delocalizzazione. Non paga più. L’outsourcing ha indebolito i servizi al limite del’inefficienza e quindi del costo. La delocalizzazione sottrae risorse nel complesso e non le incrementa. Se non per gruppi ristretti, e per tutti in fase discendente – quando non è integrata in un mercato unico, a vasi comunicanti. Cioè, paga anche molto, ma pochi. Ma poi, alla sommatoria, impoverendo i più, indebolisce tutti, anche i profittatori: chi comprerà le loro merci (chi potrà comprarle)? La Cina supplisce ma non è “il” mercato: è un mercato aperto ma controllato – non un mercato libero.
Una rinegoziazione dei termini di scambio, come l’ha pretesa Trump, può aiutare. Ma un accordo è difficile da ipotizzare. La Cina è brillante ma non elastica come si mostra. È un pachiderma politico, con un processo decisionale lento, e soggetto ad aggiustamenti imprevedibili – la cosa meno conosciuta è il Partito Comunista Cinese, che pure in teoria governa il mondo.
Il riallineamento porterà all’inflazione? In fondo, questa è la sola carta cinese: il costo del lavoro minimo e quasi nullo. Le lavorazioni riportate in Occidente saranno quindi più care. Ma non più care di quanto l’Occidente le paga adesso, seppure allinsaputa delle statistiche - quando le ragioni di scambio sono ineguali. E comunque non nei servizi: energia, comunicazioni, servizi all’impresa e alla persona non sono mai state così cari, e inefficienti – si veda la sanità. 
(continua)

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