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martedì 7 luglio 2020

Quarant'anni e non li dimostra

Un racconto di quarant’anni fa che sembra di oggi: la famiglia allargata (allargatissima, già allora senza padri: la mamma cambia spesso i compagni e con ognuno procura di fare un figlio), l’immigrazione, i marciapiedi dissestati e le buche, le febbri da centro commerciale, le manoleste, il “capro espiatorio” - l’impiegato su cui riversare le sontentezze dei clienti. Tutte le ubbie triviali  che esauriscono il nostro essere. Tutto da ridere. Con la pedofilia-necrofilia, e le bombe al centro commerciale, non da ridere - non c’è il darkweb perché non c’era ancora il web, ma funziona come se. 
 Non è il solo merito. Pennac, maestro di formazione e mestiere, già scrittore per ragazzi, romanziere per prova, si diverte e diverte. Con la grammatica, e con la grammatica del racconto. Forte italianista, che solo legge Gadda, il “Pasticciaccio”. Di suo pasticciando amabile, senza farlo pesare. Mette in scena il “capro espiatorio” appena filosofato da René Girard. La morosa del destino chiama “zia Julia”, e le dà 32 anni, come la zia di Vargas Llosa, da poco (1977) famosa. Anche lo stile buffone, aristofanesco, attorno a un protagonista, Malaussène, che è un “deus ex machina”,  sembra una ripresa, dal genere americano che trovava il suo riferimento nel “Mumbo Jumbo” di Ishmael Reed - Malaussène si vuole “Ubu Re, «cittadella vivente»”, e ha la “memoria omeopatica” delle “circa 24 mila vignette degli albi di Tintin”. 
Un divertimento, sovversivo, eversivo, irridente, nella naturalità-normalità del day-to-day. Il primo racconto del “ciclo Malaussène”, sette libri, e il primo del “quartetto Belleville”. Molto aiutato dalla traduzione:Yasmina Melaouah lo asseconda e quasi lo migliora – l’italiano sembra perfino più “maulassèniano” (disinvolto, paradossale) dell'originale.

 

Daniel Pennac, Il paradiso degli orchi, Feltrinelli, remainders, pp, € 3,75


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