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domenica 13 luglio 2008

Intellettuali di Berlinguer, allineati e coperti

La satira dev’essere libera di criticare. E il comico è un intellettuale, in un certo senso il primo degli intellettuali, il più radicale, onesto sempre. Con loro c'erano altri quattro intellettuali a piazza Navona, Travaglio, Camilleri, Flores e Furio Colombo. Anche Di Pietro volendo, che risulta laureato. E le girotondine, che sarebbero professoresse. Ma non erano molti.
Galli della Loggia fa da storico sul “Corriere della sera” del 12 luglio una disamina della storia delle due Italie, la buona e la cattiva, del “moralismo divisivo” persistente, che a questo punto è un fatto culturale, da far ascendere agli intellettuali. Il saggio prende le mosse dalla manifestazione di piazza Navona, com'è giusto. Ma non dice che gli intellettuali vi erano pochi. Altri fatti importanti lo storico omette. Che il credito fu conquistato dagli intellettuali in Italia prima dell’unità, per secoli l’Italia è stata solo letteraria e storica, anche filosofica. Mentre gli intellettuali dopo l'unità, come tutto quello che è avvenuto dopo Cavour, sono parte integrante del morbo italico, la corruttela e l'impunità. E che gli intellettuali, comici inclusi, sono stati vezzeggiati, privilegiati e anche pagati dal fascismo. E poi dal partito Comunista. La libertà di giudizio e l'etica nella categoria sono esili.
Gli intellettuali anche in Italia hanno nella storia osato, il carcere, l’esilio e anche il fuoco. Ora non è detto che non lo rifarebbero. Ma il martirio cercano in tv, e per linee sghembe – non dove il torto c’è, ma dove si vorrebbe che fosse. Questa è una novità, la divisione in belli-e-buoni e “gli altri”. Di cui lo stesso Galli della Loggia coglie la data e le modalità di nascita. Ma prima di arrivarci altre precisazioni s’impongono. La divisione non è il fatto di Grillo e Sabina Guzzanti, loro sono due attori, recitano. Il problema è dei giornali e dei politici, di quelli che li sostengono, seppure in pectore, e di quelli che li criticano, specie i vergini alla Furio Colombo: è il conformismo dominante col moralismo, per cui è opportuno marciare sempre “allineati e coperti”, come si diceva in caserma.
Ma soprattutto manca allo storico Mani Pulite, omissione consueta a Milano, che è la controrivoluzione dell'Italia repubblicana, di incisività e durata di poco inferiori al fascismo. Il problema principale è che la questione morale è la questione morale stessa. Il modo di porre cioè la questione morale, di chi la pone - quasi indistintamente, siano essi giudici o giornalisti o uomini d'affari, non c’è molta moralità in giro - e dei fini per cui è posta, il mantenimento del piccolo potere naufragato del compromesso storico.
Sulle origini della divisione lo storico Galli della Loggia è magistrale: “Con sempre meno operai e sempre più esponenti del «ceto medio riflessivo » nelle proprie file, suggestionato da spregiudicati gruppi editoriali che ambiscono quasi a dettargli la linea, pressato da giudici di tipo nuovo che considerano se stessi e la giustizia come investiti di una missione etica, e infine condizionato da una stampa straniera abituata a semplificare drasticamente una realtà italiana che nella sostanza non conosce, il Pci non trova di meglio che fare della «questione morale» la sua nuova carta d'identità. Incapace di convertirsi alla socialdemocrazia, al partito di Gramsci e di Togliatti, che pure un tempo non ignorava gli aspri dilemmi della politica, non rimane che presentarsi come «il partito degli onesti»; che affidare le sue speranze alla delegittimazione morale dell' avversario”. È il Pci di Berlinguer trent'anni fa. Questi intellettuali sono i reduci dell'8 settembre del partito Comunista, che ancora vagano per la giungla. Ma, le abitudini sono dure a morire, in ordine compatto, sempre allineati e coperti.

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